Dopo il no ai Giochi 2024, l'Italia rinuncia a ospitare i mondiali di rugby nel 2023

Dopo il no ai Giochi 2024, l'Italia rinuncia a ospitare i mondiali di rugby nel 2023
di Paolo Ricci Bitti
Mercoledì 28 Settembre 2016, 19:10 - Ultimo agg. 29 Settembre, 09:13
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Ce la saremmo giocata - alla fine - con l'Irlanda dopo aver superato la concorrenza di Francia e Sud Africa. Invece l'Italia non parteciperà più alla gara per ospitare i mondiali di rugby nel 2023. Entro il 30 settembre non arriverà l'indispensabile patrocinio del Governo che la Federugby doveva allegare al dossier e così è giunto l'annuncio della rinuncia, effetto a catena del "no" del comune di Roma alla candidatura alle Olimpiadi 2024.

L'Italia si ritira insomma dalla corsa per organizzare la decima edizione dei mondiali. La Fir parla di decisione presa «a seguito delle consultazioni degli ultimi giorni con la presidenza del Consiglio dei Ministri e con il Coni. Da sempre strettamente collegata a quella di Roma 2024, la candidatura alla Rugby World Cup 2023 non ha più le condizioni per proseguire», ha detto il presidente Federugby, Alfredo Gavazzi. Una nota che fa più male di un placcaggio degli All Blacks, anche perché sfuma la possibilità di ospitare in Italia il terzo evento sportivo più importante dopo Olimpiadi e Mondiali di calcio. Senza contare il gigantesco indotto, gli organizzatori dell'ultima edizione in Inghilterra nel 2015 hanno contato 80 milioni di sterline (110 milioni di euro) di utili. Del resto il giro di affari ha doppiato i 2.5 miliardi di sterline e sono stati venduti al 98% i 2,4 milioni di biglietti per gli stadi. Quattro i miliardi di spettatori in tv con le partite tramesse in 207 paesi. Quarantamila i posti di lavoro. Puf: tutto svanito senza nemmeno provarci.

Una delusione, questa rinuncia, per una buona parte del mondo del rugby, non certo solo quello italiano, perché il progetto della Fir aveva raccolto molti consensi nel regno di Ovalia che da qualche anno, con l'avvento del professionismo nel 1995, lotta per allargare la propria area di interesse storicamente legata a un pugno di paesi: Regno Unito (diviso fra Inghilterra, Galles, Scozia), Irlanda (che nel rugby è una sola), Nuova Zelanda, Sud Africa, Australia, Francia e Argentina. Nel 2019 per la prima volta la coppa William Webb Ellis, che esiste solo dal 1987,  verrà contesa fuori da uno di questi paesi (il Giappone) e per l'edizione successiva l'Italia aveva ottime carte per rafforzare questa avanzata ovale in nuovi territori.

La candidatura italiana contava su 11 città e 12 stadi: Roma (Olimpico e Flaminio), Torino (Olimpico), Bologna, Udine, Palermo, Genova, Milano (San Siro), Napoli, Bari, Firenze e Padova. Se sostituite Padova con Verona sono gli stessi stadi che avrebbero ospitato il torneo olimpico di calcio se l'Italia avesse ottenuto i giochi del 2024. Alcuni di questi stadi richiedono interventi di ristrutturazione (pensiamo solo al Flaminio che va rifatto da capo) che senza le olimpiadi resterebbero privi finanziamenti.

E così, dopo i possibili Giochi tanti saluti anche ai possibili Mondiali di rugby. Possibili e probabili: in campo ci sono anche Irlanda, Francia e Sud Africa. Ma francesi e sudafricani hanno già avuto (2007 e 1995) mentre l'Irlanda è una potenza nel rugby, ma non può competere con l'appeal complessivo dell'Italia che non è fatto solo da attrazioni turistiche e storia ma da numeri incomparabili con quelli dell'isola smeraldo. In più pesava anche il fatto che l'Italia avesse già chiesto i mondiali del 2015 facendosi le ossa nella corsa alla candidatura. E la sinergia Olimpiadi-Mondiali di rugby (o viceversa) per sfruttare al massimo gli impianti e le infrastrutture è la stessa già applicata a Londra e Tokio e ipotizzata anche da Parigi.

Il rugby italiano resta adesso fuori da questa gara e sono tanti i rammarichi perché un mondiale di rugby porta prestigio e parecchi soldi (quasi un punto di Pil) senza richiedere, stadi a parte, infrastrutture particolari, soprattutto quando le possibilità di accogliere i turisti stranieri (da mezzo milione in su e con le tasche generalmente ben fornite) ci sono già. Rammarichi perché è forte la sensazione di dover rinunciare a qualcosa di più un sogno per gli effetti di una reazione a catena, di un braccio di ferro di cui il movimento ovale italiano, in costante crescita di tesserati e di appassionati, non ha colpe. Così come non ne hanno coloro che avrebbe beneficiato dell'evento che per di più non comporta particolari spese per l'ordine pubblico. 

«Rimaniamo convinti delle grandi potenzialità della candidatura italiana, che avrebbero portato indubbi benefici e necessarie migliorie negli stadi italiani - ha aggiunto Gavazzi, parlando della rinuncia dell'Italia alla candidatura ai Mondiali di rugby 2023 - e siamo consapevoli di perdere una fantastica opportunità per radicare ancor più i nostri valori ed il nostro sport nel tessuto sociale italiano, ma dobbiamo prendere atto di come ad oggi non vi siano le basi per continuare questo percorso». «Voglio ringraziare il Presidente del Coni Malagò per aver sostenuto la nostra candidatura sin dai suoi primissimi passi - ha concluso il presidente Fir - sappiamo che condivide la nostra delusione per un'opportunità perduta.

Ringrazio anche i Comuni che avevano manifestato il proprio interesse ad ospitare gli incontri della Rugby World Cup nei propri stadi».

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