Segna il passo l’universo imprenditoriale sannita. Nei primi tre mesi dell’anno in corso, non solo si è arrestata la crescita, in termini numerici, delle imprese, che durava da due anni; è addirittura calata rispetto ai risultati del 2023. Le 35.272 aziende attive al 31 dicembre scorso, sono diventate, al 31 marzo del ‘24, 35.016. A fronte di 402 nuove iscrizioni si sono registrate 658 cessazioni. Mancano all’appello, dunque, 256 unità, che significano lo 0,73% in meno del patrimonio produttivo. È la realtà così come viene fotografata dal rapporto trimestrale di Movimprese alla luce dei dati dell’apposito registro su ingressi e uscite dal sistema produttivo, curato dalle singole camere di commercio ed elaborati da Unioncamere e InfoCamere.
Ha investito la Campania, che ha visto diminuire le aziende da 606.919 a 603.640. Si è salvata la sola provincia napoletana, che si è arricchita di 281 nuove iniziative. Il calo più consistente ha investito Salerno, con la perdita di 339 aziende; Benevento è posizionata al non invidiabile secondo posto. Segue Avellino con 229 intraprese cancellate dal mercato. Chiude Caserta, che ne ha perse 53. Per quel che concerne la realtà determinatasi in ogni singolo segmento della produzione sannita, non ve ne è uno che si sia salvato. Il salasso più consistente lo ha subito il comparto agricolo.
Nel settore primario, a chiudere definitivamente i battenti sono stati 171 imprenditori. Erano 10.600 alla fine del 2023 sono calate a 10.429. È un fenomeno che può ricondursi in primo luogo alla cessazione dell’attività da parte di agricoltori che non hanno avuto eredi decisi a continuarla. Una ragione peraltro non secondaria è da attribuirsi all’accorpamento cui molte micro imprese hanno dato vita. Data la loro dimensione di pochi ettari (è di sette la media provinciale della loro estensione) avrebbero corso il rischio di essere espulse dal circuito economico perché non attrezzate per reggere la concorrenza.
Anche per gli artigiani momenti difficili: hanno abbassato definitivamente le saracinesche in 23 portando il numero delle botteghe da 4502 a 4479. Nel dettaglio: 2 i laboratori chiusi legati al mondo agricolo ad avere abbandonato; 6, quelli di supporto all’industria; 2, alle costruzioni; 1 al commercio, 15 ai servizi. L’analisi, in ogni caso, ha consentito di osservare che, dal punto di vista della veste giuridica societaria, si è mosso un passo in avanti in termini di modernizzazione. Le Spa sono aumentate: da 10.571 a 10.619. In maniera speculare è diminuita la fetta di imprese individuali: da 20.654 a 20.361. La contrazione ha riguardato anche le società di persone: da 2690 a 2.678. Sostanzialmente intatta la fetta delle “Altre forme” con l’acquisto di una sola unità: da 1357 a 1358.
Il parere
Quali i motivi che hanno portato a questa realtà, li spiega così Girolamo Pettrone, commissario straordinario dell’ente camerale Irpinia-Sannio: «È una crisi, peraltro di dimensioni contenute, che ha la sua origine nel tempo. Risalgono almeno al periodo pandemico quando in molti si sono indebitati pur di continuare». Le regole, ferree, del mercato, hanno purtroppo inciso in maniera devastante. «Si pensi poi – aggiunge - al 30% di produzione in meno in agricoltura determinato dalle avversità naturali dello scorso anno e si ha un quadro chiaro delle cause che hanno portato alla fine di tante attività nel comparto». Certo, l’imprevedibilità, a cominciare da quella atmosferica per finire con quella del mercato, ha giocato la sua parte nel determinare una situazione del genere. «Va però subito aggiunto – conclude – che una riduzione è da attribuire alla fusione di tante mini aziende che, diversamente, sarebbero state inesorabilmente espulse dal mercato. E questo è un dato positivo».