Caso Icardi, cosa sarebbe accaduto se si fosse verificato a Napoli?

Caso Icardi, cosa sarebbe accaduto se si fosse verificato a Napoli?
di Anna Trieste
Martedì 18 Ottobre 2016, 12:27
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Cosa sarebbe accaduto se quello che è successo domenica a Milano si fosse verificato a Napoli?
Cosa avrebbero detto e fatto gli osservatori e i media nazionali se, ad essere accerchiato sotto casa da pseudo tifosi e non per aver sbagliato un rigore o una punizione ma per averli minacciati di morte con l’ausilio di «cento criminali argentini», fosse stato un calciatore simbolo del Napoli e non Mauro Icardi, attaccante e capitano dell’Inter? 

Per rispondere a questa domanda, che pure in queste ore tantissimi napoletani si stanno giustamente ponendo, non è necessario possedere chissà quali capacità divinatorie o chissà quali abilità immaginifiche. È sufficiente guardare a quello che succede abitualmente nei confronti della nostra città quando anche qui, come nel resto del mondo, esseri umani dotati di libero arbitrio decidono di smentire la teoria del buon selvaggio di Rousseau per incarnare quella dell’uomo lupo tra i lupi di Hobbes. E cioè: titoli a novemila colonne, edizioni straordinarie dei tg, inviati da tutti i network nazionali e internazionali per analizzare sul posto le reazioni delle tribù indigene, sociologi e antropologi pronti a derivare da ogni singolo e forse anche banale episodio di violenza privata il più totale degrado sociale, umano e strutturale di un’intera città. 

Ecco, niente di tutto questo pare essere accaduto domenica a Milano dove nonostante la gravità degli episodi (calciatore che non si perita di minacciare i tifosi e tifosi che non si peritano di ricambiare) nessun sociologo ha pensato di mettere in relazione il fatto con eventuali infezioni mortali al tessuto civile e sociale della città. Cosa che invece fu fatta, e da più parti, nei riguardi di Napoli quando ad esempio ci fu, pochi mesi fa, la rapina in centro a Lorenzo Insigne. Né tanto meno, di fronte alla reazione violenta di alcuni tifosi (?) interisti domenica, qualcuno ha pensato di realizzare una puntata speciale o un approfondimento del tg per indagare sulla «malattia» del tifo nerazzurro a Milano. Cosa che invece fu fatta a Napoli, e senza indugi, dopo la tristemente nota finale di coppa Italia a Roma, quella in cui fu ferito a morte Ciro Esposito e in cui, in fin dei conti, dal colloquio con il capitano della propria squadra la tifoseria partenopea null’altro voleva ottenere se non cercare di capire se si stava disputando una partita di pallone mentre un tifoso napoletano moriva in ospedale. Ecco, pure in questo caso, a Milano, niente. Eppure è stata proprio parte della tifoseria interista a brevettare, qualche anno fa, discipline poco onorevoli che con lo sport nulla hanno a che vedere come il lancio del motorino dagli spalti e quello dei seggiolini in campo. Evidentemente, per ottenere un trattamento anziché un altro, quello che conta è sempre e soltanto il nome. «Male per chi porta ‘a mala nummenata», dicono i napoletani. E hanno ragione, se per veder trasformata una trave in una pagliuzza è sufficiente chiamarsi Milano e non Napoli.
 
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