Dagli stadi ai settori giovanili,
le otto mosse per il rilancio azzurro

Dagli stadi ai settori giovanili, le otto mosse per il rilancio azzurro
di Gianfranco Teotino
Mercoledì 15 Novembre 2017, 09:04 - Ultimo agg. 09:31
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Rifondare il calcio italiano è più facile a dirsi che a farsi. Perché, anche se non si perderà troppo altro tempo ad aspettare dimissioni che non arrivano, vi sono da recuperare almeno 25 anni di ritardo rispetto agli altri Paesi.

Istituzioni sportive, proprietari e dirigenti di club si sono crogiolati nell'età dell'oro il campionato più bello del mondo, il dominio quasi assoluto delle squadre italiane nelle coppe europee negli Anni Novanta senza accorgersi che il mondo, pure quello del pallone, stava cambiando: nuovi mercati, nuove tecnologie, nuovi capitali e nuovo approccio allo spettacolo presupponevano la necessità di strategie manageriali adeguate, per quanto valide soltanto se accompagnate dalla capacità di non disperdere il patrimonio di passione, addirittura di amore, senza nutrire il quale qualsiasi mutamento rischia di produrre effetti negativi. La mancata qualificazione della Nazionale ai Mondiali va persino al di là di tutti i problemi che abbiamo imparato a conoscere e analizzare, ma è l'approdo, per quanto imprevedibile, di una crisi di sistema troppo a lungo trascurata. Su quali basi allora ricostruire? Ecco alcune proposte su cui lavorare, sapendo che, al di là degli uomini che verranno scelti per gestire la rinascita, vi sono già, per fortuna, anche in Federcalcio, professionalità in grado di sviluppare idee simili.

Credibilità. È il punto di partenza e di arrivo di ogni ragionamento. La gente non si fida più, neppure il popolo degli appassionati. Non è bastato vincere un Mondiale, nel 2006, per cancellare l'ombra di Calciopoli e dei ricorrenti scandali legati al mondo delle scommesse. Vi sono ancora troppe regole non rispettate, sentenze sportive soltanto formalmente eseguite, quando non evidentemente raggirate. Ultimo caso proprio ieri, con la richiesta di archiviazione della posizione di Lotito per avere aperto un altro settore dello stadio agli ultrà della Lazio che erano stati squalificati.

Nuovi impianti. Per molti è il problema principale. Anche se rischia di diventare un alibi. Qualcosa si sta muovendo: la Juventus non è rimasta sola. Le iniziative di Federcalcio, Leghe (quella di Serie B soprattutto) e Credito sportivo stanno producendo i primi risultati. Servirebbe un maggior supporto da parte delle autorità extra-sportive. Inghilterra e Germania sono uscite dalle loro crisi, gravi come o addirittura più di quella italiana per le devastazioni degli hooligans gli inglesi, per i cattivi risultati della nazionale i tedeschi grazie a investimenti statali o di enti locali che hanno consentito di rinnovare l'intero parco impianti. Le condizioni economiche rendono difficile ripetere una simile operazione in Italia. Ma perché non pensare di concedere alle società di calcio un credito d'imposta da compensare con le ritenute sugli stipendi dei calciatori, condizionandolo all'impiego di tali somme alla realizzazione di impianti sportivi? In fondo, questo tipo di investimenti produrrebbe nuova occupazione e quindi nuove entrate tributarie sui flussi di pagamento attivati.

 
Riempire gli stadi. Intanto però gli stadi che ci sono, per quanto fatiscenti, scomodi e insicuri, non possono essere abbandonati. Nonostante la crescita registrata nelle prime giornate di questa stagione, la serie A resta al di sotto dei 25.000 presenti medi, rispetto ai 42.000 della Bundesliga, ai 36.000 della Premier League e ai 28.000 della Liga, unica in calo. Proprio per arrestare la diminuzione degli spettatori, in Spagna è stato deciso di punire le società che non garantiscono una percentuale minima prestabilita di riempimento dell'impianto. Si potrebbe fare anche qui, studiando contemporaneamente incentivi (una quota dei diritti tv?) per i club più efficaci nell'attivare politiche di prezzi che favoriscano una maggiore affluenza e per quelli che riservano settori dello stadio alle famiglie o ai ragazzi delle scuole, da fare entrare, in alcune occasioni, gratuitamente.
Riforma dei campionati. Il problema non sono tanto i 20 club in Serie A, ci sono anche in Inghilterra e in Spagna, quanto l'impossibilità di garantire loro i mezzi per dar vita a un campionato tecnicamente valido. Troppe squadre scarse. Va rivista la ripartizione dei ricavi televisivi e in questo senso la modifica introdotta da Lotti e contenuta nella Legge di bilancio è un buon passo avanti. Ma cento società professionistiche sono troppe, insostenibili dal sistema.
Seconde squadre. Forse è questa, anche per il bene della Nazionale, la riforma più importante: la nascita delle squadre B dei club principali e il loro inserimento, come avviene in Spagna o in Germania, nei campionati di seconda e terza divisione. È il modo migliore per formare i ragazzi facendoli competere con giocatori più maturi ed esperti, anziché con i loro coetanei più scarsi. A maggior ragione, vista la ritrosia di tecnici e dirigenti all'inserimento dei giovani in prima squadra: i calciatori italiani, per quanto talento abbiano, arrivano in nazionale più tardi e con meno presenze in partite importanti di club rispetto ai coetanei degli altri Paesi. Forse non è un caso che l'Inghilterra, che non ha squadre B e ha un sistema di formazioni giovanili simili a quello italiano, sia l'unico Paese, fra quelli importanti, ad avere una percentuale di giocatori stranieri (61,4%) superiore a quella della Serie A (54,6%). E una nazionale che non vince mai.
Settori giovanili. Troppo bassi gli investimenti dei club italiani nei vivai. Una possibilità sarebbe quella di destinare a tal fine una quota dei diritti tv. Altra criticità: troppi stranieri nelle squadre Primavera, comprati sul mercato, non figli di stranieri residenti in Italia e privi di cittadinanza, non è solo questione di ius soli. Bisognerebbe limitarne l'impiego, quello che non si può fare con i seniores professionisti. E ancora: i risultati delle formazioni giovanili, e il lavoro dei tecnici, andrebbe valutato non sulla base dei titoli vinti ma del numero di giocatori portati in prima squadra. Il progetto dei Centri federali territoriali, mutuato dal sistema tedesco, idea apprezzabile, è nato zoppo: sono pochi e troppo poco attivi. Il problema italiano nasce prima: dalle scuole calcio, tutte a pagamento, con prezzi piuttosto salati, e perciò inadatte a selezionare i migliori.
Trasparenza. Sarebbe opportuno aprire gli organi di governo dei club e della Federazione a contributi esterni, a consiglieri davvero indipendenti e ai vari stakeholders del sistema. Anche a esponenti degli enti locali, specialmente nei club di provincia e, come accade nel modello inglese, a rappresentanti delle tifoserie, evitando così alle società di avere come unici interlocutori, per lo più minacciosi, i gruppi ultrà. Il rafforzamento di trasparenza e radicamento territoriale sarebbe per di più un efficace deterrente a eventuali distorsioni causate da investitori stranieri (peraltro bene accetti) interessati esclusivamente al business.
Violenza e razzismo. Le iniziative da prendere in questo campo sono innanzitutto di carattere educativo e quindi da affidare in prima istanza a famiglie e scuole. Ma il quadro normativo in vigore e i sistemi di sicurezza adottati, come dimostra la vicenda delle figurine di Anna Frank all'Olimpico, non sono sufficienti né a impedire il ripetersi di episodi vergognosi, né a punire adeguatamente i responsabili né a tutelare le società di fronte a fenomeni ricattatori. Un problema, anche questo, non solo del calcio, ma che il calcio deve affrontare con più decisione.
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