Ventura: «C'è la convinzione
che andremo ai Mondiali »

Ventura: «C'è la convinzione che andremo ai Mondiali »
Giovedì 9 Novembre 2017, 20:39 - Ultimo agg. 10 Novembre, 01:01
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«Lo dico con umiltà ma convinto: l'Italia andrà ai Mondiali». Gian Piero Ventura vive la vigilia della sfida di andata con la Svezia, il momento più importante della sua carriera, senza regalare frasi churchilliane, ma con un'ostentata certezza: quella di raggiungere un traguardo che viene considerato l'obiettivo minimo da tutti, ma tanto scontato poi non è. La solitudine di un uomo che ha, per antica definizione, 55 milioni di rivali (ovvero tutti gli italiani convinti di saper piazzare Verratti meglio di come faccia lui) lo rende più ombroso e sarcastico del solito, nonostante a sostenerlo platealmente nell'ultima conferenza stampa prima dello spareggio siano arrivati il presidente federale Tavecchio e i suoi vice Sibilia e Ulivieri.

A complicare le cose al ct , poi, è sopraggiunto nell'ultimo allenamento a Coverciano l'infortunio di Zaza, predestinato a fare coppia con Immobile. E invece un riacutizzarsi di un vecchio problema al ginocchio, e il giocatore del Valencia domani molto probabilmente sarà solo spettatore.

Con Ventura costretto - se non a ridisegnare la squadra - a inserire Belotti, apparso ancora un pò in ritardo di condizione in campionato, Eder o Insigne nel ripescato modulo 3-5-2. «Zaza? Vediamo di provare a recuperarlo, ma Belotti - spiega - sta decisamente meglio rispetto a quando è arrivato in ritiro. Ha lavorato più degli altri, se c'è bisogno può dare un contributo». Ma questi sono dettagli: importanti, e però tutto sommato semplici annotazioni a margine di una pagina storica tutta da scrivere. Ventura infatti sa che nessuno si ricorderà di Zaza, dopo lo spareggio: in un senso o nell'altro.

E se fosse il senso sbagliato, quello della sua Italia, finirebbe non solo la carriera azzurra di questo settantenne genovese (nell'unico precedente di eliminazione, quello del 1958, nulla venne perdonato a una leggenda come Alfredo Foni, campione del mondo del 1938 e campione olimpico del 1936 da giocatore, defenestrato da ct un nanosecondo dopo la sconfitta con l'Irlanda del Nord): persino le ricadute a livello politico sportivo sarebbero altamente probabili. Ma almeno in queste ore, nessuno nell'ambiente azzurro vuole pensare a quella che nella corsa alle metafore è arrivata al grado di «apocalisse» (definizione del presidente federale Tavecchio). Apocalisse magari no, ma certo una Caporetto sportiva nell'anniversario di quella reale si configurerebbe. E allora fa bene Buffon a dire che non vuole nemmeno pensarci all'eliminazione: e fa ancora meglio il ct a ribadire serenità alla vigilia della partita «Più eccitante e rischiosa» della sua carriera.

E d'altra parte lo choc di una sfida da dentro o fuori dovrebbe far superare agli azzurri la crisi d'identità nella quale si sono avvitati dalla sconfitta per 3-0 subìta a inizio settembre ad opera della Spagna. Era, quello, il momento del sogno: l'Italia avveniristica schierata da Ventura in un 4-2-4 mai visto, si trovò rintronata dalla scoppola presa. Per poi offrire a seguire una serie di prestazioni quantomeno enigmatiche. «Ma dopo quella gara noi abbiamo fatto quello che dovevamo - rivendica - siamo entrati tra le migliori quattro seconde dei gironi di qualificazione: i commenti finali li faremo dopo gli spareggi».

Fatto sta che per l'occasione Ventura torna all'usato sicuro: un modulo collaudato, il 3-5-2, imperniato sulla difesa ritrovata Barzagli-Bonucci-Chiellini davanti a Buffon. A centrocampo Candreva, Parolo, De Rossi, Verratti e Darmian, in avanti Belotti favorito per fare coppia con Immobile. Di fronte, una Svezia senza nulla da perdere e schierata nel 4-4-2 classico di Andersson, che perso per anzianità Ibrahimovic ha in Forsberg la sua intermittente stellina. Un buon collettivo, ordinato e tatticamente ben messo: ma tecnicamente inferiore agli azzurri anche in questo periodo di vacche magre del calcio italiano. Nell'ottica del doppio impegno, andrebbe benone a Ventura anche un pareggio in vista del ritorno di lunedì a Milano . Ma in un moto d'orgoglio il ct puntualizza, chiudendo: «Pari sì, ma voglio un gol».

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