Austria, va ribaltata la sfida sulla doppia cittadinanza

di Franco Cardini
Lunedì 18 Dicembre 2017, 22:29
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Il nuovo governo austriaco, guidato da un giovanissimo cancelliere che sembra ben deciso a seguire la strada di quanti intendono creare nel continente un fronte “anti-Unione Europea” (che di per sé, attenzione! potrebbe peraltro non doversi considerare un fronte sic et simpliciter antieuropeista), ha avanzato una proposta senza dubbio problematica, forse “eversiva”: la concessione della cittadinanza austriaca ai cittadini italiani “sudtirolesi”, vale a dire altoatesini di lingua tedesca ( ma anche ladina). Sappiamo che in Sudtirolo esistono alcune formazioni non semplicemente autonomistiche, come la celebre Südtiroler Wolkspartei, ma esplicitamente irredentistiche le quali auspicano la riunione di tale territorio alla madrepatria austriaca. Tra esse, la più autorevole è la Südtiroler Südtiroler Heimat, animata dalla lucida e coraggiosa Eva Klotz: una leader forse non sempre amata, ma senza dubbio molto stimata anche da molti italiani.
La signora Klotz, che si è adesso un po’ tirata da parte, sta passando la guida del suo gruppo al giovane Sven Knoll.  Le reazioni, nella provincia di Bolzano, sono state varie: tra esse una delle più importanti, quella del presidente della provincia stessa, è consistita in un messaggio di gratitudine e solidarietà espresso al cancelliere austriaco nel quale però si ribadisce che i sudtirolesi intendono mantenere i loro legami anche con Roma: una dichiarazione certo necessaria ma d’altronde pleonastica, perché il titolare di una doppia cittadinanza è una persona che per definizione vuol essere un buon cittadino di due paesi. E non manca, tra gli oltranzisti come tra i loro avversari, chi osserva – con malizia oppure con disappunto – che la concessione di un doppio passaporto taglierebbe letteralmente l’erba sotto i piedi di quanti sognano un ricongiungimento territoriale all’Austria. Se con la cittadinanza si ha in effetti un ricongiungimento civile e morale che bisogno v’è poi, tra stati vicini che vogliono anche restare buoni amici, di uno anche territoriale? Inutile sottolineare che il paesaggio politico che così verrebbe delineato sarebbe assolutamente più positivo di quello a suo tempo determinato dall’accordo Mussolini-Hitler di un’ottantina di anni fa, in forza del quale si obbligavano in realtà gli altoatesini/sudtirolesi a una decisione in tutti i casi dolorosa: o si optava per restare sul territorio italiano, rinunziando per sempre a quella che linguisticamente, storicamente e tradizionalmente si sentiva come la vera patria, o si accettava di andarsene abbandonando la propria terra, gli averi, le memorie, per ricominciare daccapo tra connazionali e “fratelli di lingua” sì, ma in fondo estranei. 
Nel dibattito così acceso, si sono sentite molte altre voci e molte altre sfumature. E qualcuno, forse un utopista forse un lungimirante, si è chiesto: ma allora, perché non avviare piuttosto l’iniziativa di un passaporto europeo? Certo, sarebbe bello: ma quale autorità sarebbe in grado di emanarlo? Non certo l’Unione europea di Bruxelles-Strasburgo. Mettetela come volete, ma il bandolo della matassa sta sempre lì. Manca un’unione europea politica.
La reazione del governo italiano, per il momento, è stata molto cauta. Fin troppo cauta fino ad apparire ambigua: almeno per alcuni. Certo comunque appare cosa evidente che il governo di Vienna non potrebbe mai concedere un passaporto austriaco a un cittadino italiano senza il consenso di quello di Roma.
Ne deriva una situazione senza dubbio paradossale, ma anche affascinante e stimolante. Immaginiamo per un attimo che il governo italiano non reagisca all’iniziativa austriaca con un netto rifiuto, o con una nota di protesta, o con una diffida, e nemmeno con un sia pur cauto avvio di trattative bilaterali. Immaginiamo invece che prenda lui l’iniziativa: e che, sul modello di Vienna, annunzi di voler concedere a sua volta la doppia cittadinanza a tutte le persone che linguisticamente, geostoricamente e culturalmente hanno i requisiti che le abilitano a possederla. Magari cercando (senza magari riuscirvi: anzi, venendosi ferocemente respinta la proposta) l’accordo con Parigi per una doppia cittadinanza concessa ai savoiardi, a quelli di Briga e Tenda, a quelli di Nizza e di Mentone, magari perfino ai còrsi; e cercando l’assenso del governo federale di Berna per la doppia cittadinanza agli svizzeri ticinesi; e di quelli di Lubiana e di Zagabria per la doppia cittadinanza degli istriano-dalmati; e offrendola a tutti i maltesi; e magari a tutti gli argentini o agli statunitensi d’origine italiana che ne facessero documentata a motivata richiesta. E immaginiamo allora che il governo di Madrid replichi offrendo la doppia cittadinanza agli italo-catalani di Alghero. In fondo, un precedente illustre e incontestato esiste: lo stato d’Israele, che con la “Legge del Ritorno” riconosce a tutti gli ebrei del mondo l’automatico diritto alla cittadinanza israeliana e ne fornisce il passaporto a chiunque ne faccia documentata domanda. 
Magari è un sogno: ma saremmo a una svolta. I limiti dei vecchi stati nazionali ne verrebbero almeno in parte travolti; si creerebbero infinite occasioni per la costruzioni di nuove, forti identità comunitarie; magari sarebbe quella una delle nuove strade per ritrovare lo slancio necessario alla ridefinizione di una unità europea che non sia soltanto finanziaria ed economica. Se gli stati nazionali hanno fallito nel processo unitario, la rinnovata coscienza nazionale potrebbe paradossalmente rilanciarlo. Davvero nessuno die nostri partiti, alla vigilia delle elezioni, ha il coraggio di aprire la sua piattaforma programmatica a una prospettiva del genere? 
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