Il Pipita ha interiorizzato la sua condizione di guida

di Marco Ciriello
Sabato 8 Agosto 2015, 23:45 - Ultimo agg. 9 Agosto, 00:02
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Una amichevole è sempre una danza su un equivoco: una partita che non conta, un esperimento per misurare i nuovi acquisti, ma poi tutti la vogliono vincere, per regalare la prima immagine di maturità. All’Estadio do Dragao, Higuain – dotato di una eleganza che sembra venirgli su spontanea – gioca solo mezz’ora nel nuovo Napoli di Sarri che ha scelto il Porto per mettersi in vetrina: provando a farsi jazz in una partita che suona fado, elegia degli incontri d’agosto, dove ogni dramma è una farsa. Lenta avvolge, e coinvolge poco. Che ha le emozioni contate come i sospiri di una anziana signora davanti a un mondo che già conosce.



Ogni gesto dell’argentino, ogni suo tentativo diventa chincaglieria da spiaggia al crepuscolo, mentre i suoi compagni provano ad uscire dalla macchinosità della stanchezza e a liberarlo in porta. Si vedono scambi che devono ancora raggiungere la sensibilità metrica, si provano combinazioni che provano a fare leva sulla conoscenza avvenuta nella vecchia stagione. È un gioco delle piccole cose, dove Higuain prova a imporre la sua supremazia, ad acchiappare quelle note alte che abbiam visto in passato. Cerca il suo spazio, provando a fondere il concreto e l’astratto, il corporeo con il desiderato. Si aggira a tentoni e prova colpi solitari, da jazz – appunto – ma per tanti aspetti la partita si muove su note e ritmi diversi. La nota positiva è che Higuain sembra aver interiorizzato la propria condizione di guida, forse ha capito che è arrivato il momento di colmare la distanza tra le sue gare e l’irregolarità. E dall’altra parte, dalla panchina al centrocampo, dalle fasce alla tribuna tutti non aspettano altro che il suo eccezionalismo trovi spazio e gol.



Prova a compiacere gli sguardi, mostra le su intenzioni compositive, i sui numeri, dilata, modula, tira e smonta marcature – a dire il vero – leggere. Prevale l’effimero, rimane un incontro tendenzialmente verboso, dove son poche le frasi da salvare. Higuain finisce per non condizionare, nonostante la buona volontà. Sarà anche vero come scriveva e pensava Gianni Brera che nello zero a zero c’è la perfezione ma noi qualche gol l’avremmo visto volentieri. Invece le squadre sembravano avere i lucchetti ai piedi, e anche Higuain finisce per essere un esteta del superficiale.



È un passo in avanti, il Napoli tiene la scena con la consapevolezza professionale che ci si aspetta, ma avremmo voluto qualche rischio in più capace di far risaltare le doti dell’argentino. È la voglia matta di calcio che pretende il gol, è il bisogno di essere rassicurati rispetto a quello che fra due settimane si rimetterà in moto. E alla fine il diluvio di palloni andati a lato, perduti o giocati in modo disperato, diventano speranze, vengono macinati come prove, nessun magone sul finale, è solo una amichevole. L’abituale mestizia di Higuain non si è vista, rimane sulla maglia sudata la decorosa malinconia portoghese.