Oltre il teorema resta la gogna

di Massimo Adinolfi
Martedì 16 Gennaio 2018, 22:51
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A giudicare dalle prime battute, la giustizia non rientra tra i temi del confronto politico-elettorale. I partiti parlano di tasse, di lavoro, di migranti, di vaccini e perfino di razze, ma non di giustizia. Come se i nodi del rapporto fra politica e giustizia fossero stati sciolti, o come se non avessero più alcuna centralità nella vicenda pubblica del Paese. Poi arriva la sentenza del Tribunale di Napoli sul caso Cpl-Concordia e il sindaco dem di Ischia, Giosi Ferrandino, assolto perché il fatto non sussiste, e uno si domanda se davvero si possa continuare così, come se nulla fosse, come se ancora una volta bastasse appellarsi alla normale dialettica processuale, per cui a volte fioccano le condanne, altre volte arrivano le assoluzioni, e insomma il processo c’è apposta per quello, e tante felicitazioni a Ferrandino ma aspettiamo di leggere le motivazioni, e poi è sempre possibile che la Procura ricorra in appello, e dunque non affrettiamoci a dare giudizi all’inchiesta della procura di Napoli coordinata dal pm John Woodcock, al suo ennesimo insuccesso.
Eh no, la storia degli appalti alla Cpl-Concordia, risolta in nulla, ha tenuto banco per settimane e mesi; ha scatenato un putiferio nel mondo politico e sulla stampa; ha alimentato con il gran fiume delle intercettazioni pagine e pagine di giornali, e, certo, non ha giovato alla carriera politica del sindaco d’Ischia, finito in carcere tre anni fa nell’ambito dell’inchiesta per la metanizzazione dell’isola e oggi completamente scagionato.
A non dire del coinvolgimento degli esponenti politici nazionali: Ferrandino che è vicino a Guerini, Ferrandino che parla di Lotti, Renzi che parla con il generale delle fiamme gialle Michele Adinolfi, e pure i vini e i libri di D’Alema che la coop rossa acquista e regala. Ce n’è stato abbastanza per favoleggiare dei soldi di Cpl-Concordia finiti a Renzi e al Pd, per ironizzare sulla rottamazione che si fermava a Ischia, per descrivere un partito scosso dagli scandali e un leader succube dei vecchi apparati. E per utilizzare le telefonate intercettate nell’ambito dell’inchiesta, prive di qualunque rilevanza penale, al fine di ricostruire la storia politica del Paese, naturalmente a disdoro dei suoi protagonisti. Il buco della serratura come lente di ingrandimento della politica, grazie all’occhio (o all’orecchio) dei pm.
A fronte di tutto questo, non è indispensabile riproporre con forza il tema delle profonde distorsioni che certe indagini della magistratura – sempre solo le ipotesi accusatoria, non le (tardive) sentenze – hanno provocato nell’opinione pubblica, contribuendo per anni a costruire quel genere di narrazione giustizialista per cui la notizia dell’assoluzione di Ferrandino viene oggi data da certi quotidiani sotto l’occhiello «Giustizia e impunità», come se essere assolti volesse dire averla fatta franca, e solo l’essere condannati significasse che giustizia è stata fatta?
Fare macchina indietro non è possibile, ovviamente. Chi finisce sui giornali non si vede certo restituito tutto quello che il furore giustizialista gli toglie prima di qualunque verdetto di tribunale. Proprio per questo, però, non è indispensabile accendere i riflettori sull’uso delle intercettazioni a strascico, su metodi che appaiono orientati molto meno sull’esito processuale, e molto di più sull’eco mediatica che è possibile suscitare? Aggiornando la vecchia frase di Voltaire, si potrebbe dire che queste indagini, che crollano come castelli di carta, sembrano reggersi esclusivamente sul principio: «Intercettate; intercettate: qualcosa resterà». In realtà, non resta nulla dinanzi al giudice, che manda assolti gli imputati per la totale assenza di riscontri oggettivi. Ma qualcosa resta sulla stampa, che manovra le parole intercettate per costruire il proprio, interessato racconto delle malefatte della politica. Pensate anche solo a cosa ha significato la telefonata Adinolfi-Renzi, che con l’inchiesta non c’entrava nulla, che non c’era motivo di registrare né di divulgare, e che però ha messo a rischio persino la stabilità del governo. Ora che tutto l’impianto della Procura è stato smantellato, dell’indagine di Woodcock non rimane nulla, ma la telefonata resta. Nessun risultato giudiziario, ma un sicuro risultato politico.
Perciò torno all’inizio. Questa campagna elettorale non mette tra le sue priorità la questione del riequilibrio dei poteri fra politica e giustizia, non discute di separazione delle carriere o di obbligatorietà dell’azione penale, non si occupa dei poteri dei pm e delle garanzie dei cittadini, non accenna a riforme nel campo dell’organizzazione giudiziaria (a cominciare dal Csm), e in generale evita di porsi la domanda se il discorso pubblico possa ancora essere condotto sulla falsariga delle ordinanze di custodia cautelare. Non sarà un’altra, la millesima, occasione perduta?
 
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