Spari a Chiaia, la sopravvissuta: solo a letto ho visto che mi avevano colpito

Spari a Chiaia, la sopravvissuta: solo a letto ho visto che mi avevano colpito
di Daniela De Crescenzo
Domenica 19 Novembre 2017, 21:44
4 Minuti di Lettura
«Ho sentito gli spari, la strada era affollata, sono scappata, una fitta mi ha lacerato la schiena, ho creduto di aver ricevuto una gomitata. Mi sono accorta di essere stata colpita solo quando sono arrivata a casa e mi sono messa a letto: è stato allora che mi sono accorta della macchia di sangue che si stava allargando». Un racconto agghiacciante, surreale, quello che Francesca (il nome è di fantasia), 19 anni, studentessa di una delle scuole del centro, aspirante operatrice sociale, ha fatto al suo avvocato, Sergio Meo, e agli amici che sono andati a trovarla all’ospedale dei Pellegrini dove è ricoverata. È una delle vittime del raid dei baretti. «Una vittima innocente», ribadisce ferma. Con lei al pronto soccorso la mamma, casalinga, e il padre tassista: una famiglia come tante. «Anche se abitiamo al Pallonetto siamo gente onesta, gente perbene», dice papà Ciro, sapendo che un indirizzo può essere scambiato per un marchio di fabbrica. Non è così, ma se ne accorgono in pochi. «Mia figlia è una vittima innocente – ripete l’uomo – per favore scrivetelo. E scrivete anche che non si può rischiare la vita solo per andare a bere qualcosa con gli amici. Bisogna intervenire, bisogna rendere sicura la movida». E invece no. Invece, se vuoi bere qualcosa, se vuoi passeggiare di notte, se ti azzardi a sederti al tavolino di un bar stai giocando a testa o croce con la morte. 
«Mia figlia è tornata poco dopo le tre di notte – racconta Ciro, il papà di Francesca. È andata a dormire dalla nonna, che abita proprio di fronte a noi, ma prima mi ha chiamato. Era scossa, preoccupata. Mi ha detto: “Papà hanno sparato, c’è stato un litigio, poi è arrivata una moto e ho sentito colpi a ripetizione. Io e l’amica che era con me abbiamo cominciato a correre, mi sono salvata per un pelo”». Ma dopo qualche minuto Francesca ha richiamato. «Mi ha detto: “Papà, ho il pigiama sporco di sangue” – racconta Ciro - Allora siamo corsi verso l’ospedale». Rosa, la mamma di Francesca è sconvolta: «Per questa volta siamo stati graziati – dice – mia figlia è stata colpita alla schiena e adesso deve essere operata. Ma poteva andare molto peggio. Eppure stava solo passeggiando con un’amica. Non è possibile rischiare la vita così, per niente».
Per niente, appunto. Nel lettino accanto a Francesca, in ospedale, c’è un ragazzo che ieri ha compiuto diciotto anni: anche lui è stato ferito nel corso della stessa sparatoria, abita a poca distanza da Francesca, dall’altro lato da quello spartiacque tra rioni che è via Chiaia, la strada dello shopping, del turismo. Vive ai Quartieri Spagnoli che ormai sono frequentati giorno e notte dai visitatori italiani e stranieri, ma dove si continua a sparare. L’ultimo agguato venerdì sera. Lui, il ragazzino, lavora come meccanico nell’officina del padre e ha precedenti per lesioni: evidentemente, non è nuovo alle risse. Ma questo ovviamente non lo condanna. Anzi, gli inquirenti sembrano ritenere che nella sparatoria di ieri non abbia avuto alcun ruolo. Nello stesso ospedale, è arrivata anche una quattordicenne: è stata medicata per una distorsione che si è provocata nella fuga e poi è tornata a casa. Anche lei viene da quelli che i napoletani chiamano semplicemente «I Quartieri».In un altro ospedale, il Loreto Mare, sono ricoverati altri tre ragazzi, tutti dalla zona Orientale e qualcuno di loro è legato a una famiglia malavitosa della zona: quella dei Marigliano, vicina al clan Formicola. C’entra con le indagini? Forse. Certo la parentela serve a disegnare la scena sulla quale si muove una parte dei protagonisti. Sono tutti ragazzi, arrivano dalla zona orientale fino al cuore della movida napoletana e che probabilmente non conoscevano gli altri, quelli che vivono nel centro di Napoli. Ed eccoli qua, quelli di San Giovanni. Quello che si trova in condizioni più gravi, è ancora in prognosi riservata anche se non rischia la vita, è conosciuto dalle forze dell’ordine, come si dice nel linguaggio «sbirresco». Ha 16 anni e va a scuola, come sottolinea la madre che tra le lacrime giura: «Mio figlio non c’entra nulla, era lì per caso: è stato ferito mentre cercava di fuggire. È vittima di una sparatoria assurda». Poi c’è un diciassettenne, anche lui con precedenti per furto: arriva da Cercola, e si trovava era nella zona dei baretti «per divertirmi con gli amici», come sostengono tutti i ragazzini coinvolti. Senza precedenti, invece, l’ultimo ragazzino di San Giovanni, un quattordicenne ferito ad una gamba.
Tutti i feriti hanno tra i 14 e i 19 anni: troppo giovani per rischiare la vita. O forse troppo vecchi. Giovedì scorso, a qualche chilometro di distanza dalla strada del raid di sabato notte un bambino di 11 anni ha accoltellato un compagno di scuola. Senza una ragione: per vivere o per morire non sono assolutamente necessari.
© RIPRODUZIONE RISERVATA