Savoia, la rivolta del Sud corre sul web: «I loro gioielli? Li donino per risarcire le vittime dell'Unità»

Savoia, la rivolta del Sud corre sul web: «I loro gioielli? Li donino per risarcire le vittime dell'Unità»
di Antonio Folle
Mercoledì 26 Gennaio 2022, 21:17 - Ultimo agg. 23:05
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Continua a destare scalpore la richiesta di casa Savoia allo Stato Italiano circa la restituzione dei gioielli custoditi nei caveau della Banca d'Italia. Un'esternazione che ha scatenato un vero e proprio coro di proteste tra i cittadini d'ogni parte dello Stivale. Le maggiori proteste, però, arrivano da quel Mezzogiorno che da diversi anni dibatte sullo «scippo» subìto nel 1860, quando, dopo l'ingresso di Garibaldi a Napoli, milioni di ducati custoditi nelle banche duosiciliane presero il volo verso Torino. Nemmeno i beni privati della famiglia reale - il re Francesco II ancora si batteva sul Volturno, sul Garigliano ed a Gaeta - furono risparmiati. Resta nella storia la risposta data all'incaricato d'affari che proponeva a Francesco II, ormai esule e in povertà a Roma, la restituzione dei beni privati in cambio della rinuncia ad ogni pretesa sul trono dell'ex Regno delle Due Sicilie. Francesco II respinse sdegnato l'offerta, sostenendo che «l'onore dei sovrani non è in vendita».

La pretesa dei Savoia, che nelle scorse ore hanno ribadito la volontà di arrivare allo scontro in tribunale con la Repubblica Italiana se le loro richieste non dovessero essere soddisfatte, fa terribilmente a pugni con la Costituzione italiana. Secondo la XIII disposizione transitoria e finale della Costituzione della Repubblica Italiana - modificata parzialmente per consentire il ritorno dei Savoia in Italia nel 2001 - i beni privati di Casa Savoia sono definitivamente avocati allo Stato Italiano. Problemi quindi anche di natura meramente giuridica per le pretese dei discendenti dell'ultimo re d'Italia. 

Senza pensare, inoltre, che un eventuale - per quanto improbabile - resa italiana alle pretese dei Savoia potrebbe aprire proprio per questi ultimi uno scenario a dir poco preoccupante. I Savoia stessi rischierebbero di essere sommersi da richieste di risarcimenti danni da parte delle ex case regnanti all'epoca dell'unità italiana. Borbone, Asburgo-Este, Asburgo-Lorena e fin anche la Santa Sede potrebbero "battere cassa" chiedendo la restituzione dei beni personali dei sovrani confiscati prima, durante e dopo i plebisciti di annessione.

Una terribile "zappa sui piedi" per Vittorio Emanuele e per suo figlio Emanuele Filiberto che ormai da molti anni lo rappresenta nelle uscite ufficiali. 

«I discendenti dei Savoia hanno richiesto la restituzione dei loro gioielli al governo italiano preannunciando azioni legali in caso di parere negativo - è la presa di posizione del Movimento Neoborbonico - il "tesoro" comprende migliaia di brillanti e perle per diversi milioni di euro.  Abbiamo inviato ai discendenti sabaudi un dossier con alcune notizie relative ai famosi 443 milioni di lire delle banche meridionali pre-unitarie (sui 668 complessivi di tutte le banche italiane messe insieme), ai saccheggi e ai massacri subiti dalle popolazioni dell'ex Regno delle Due Sicilie durante l'unificazione italiana voluta proprio dai loro antenati.  Nel dossier anche le notizie relative ai beni sottratti ai Borbone e mai restituiti nonostante le numerose e legittime richieste. Si trattava di ville, appartamenti, oggetti d’arte e soldi dei conti correnti personali della dinastia napoletana per diverse centinaia di milioni di euro attuali. In considerazione del fatto che la questione meridionale nacque proprio in quegli anni e non è ancora stata risolta - continuano i Neoborbonici - e in considerazione del fatto che al Sud risulta ancora oggi un grande numero di famiglie povere, il Movimento Neoborbonico ha chiesto ai Savoia, nel caso di una eventuale restituzione, di donare a quelle famiglie i soldi ricavati dalla vendita del "tesoro" a parziale risarcimento dei danni subiti nel 1860 e dal 1860».

Un ultimo - ma non ultimo - risvolto legale. Secondo le leggi dinastiche di casa Savoia i discendenti diretti di Umberto II non avrebbero titolo a richiedere la eventuale restituzione di beni appartenenti agli ex sovrani del regno di Sardegna-Piemonte. Il re di maggio, infatti, non riconobbe mai il matrimonio tra suo figlio Vittorio Emanuele e Marina Doria. Secondo le regole rigidissime di casa Savoia il matrimonio avrebbe automaticamente escluso Vittorio Emanuele - e quindi i suoi figli e nipoti - dalla successione. Eredi dinastici di casa Savoia, ad oggi, sono i rappresentanti del ramo Savoia-Aosta, con a capo il duca Aimone. 

Pochissimo tempo dopo il loro ritorno in Italia dopo 54 anni di esilio, i Savoia avanzarono una richiesta di risarcimento danni astronomica - 260 milioni di euro - allo Stato Italiano colpevole, secondo loro, di aver esiliato i rappresentanti della dinastia che sostenne il fascismo e fu firmataria delle leggi razziali. Dopo l'ondata di sdegno da parte della quasi totalità del Paese la richiesta fu ritirata. 

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