Caso Mancini-Sarri| MESSAGGIO AI «ROSICANTI»

Caso Mancini-Sarri| MESSAGGIO AI «ROSICANTI»
Venerdì 22 Gennaio 2016, 12:48 - Ultimo agg. 18:06
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E adesso che sulla vicenda è stato messo un punto fermo, è giusto occuparci di coloro che, alcuni in buona fede altri con malcelato interesse, altri ancora con aperta impudicizia, hanno intinto la loro penna caustica in questo brodo purulento di volgarità e di polemiche. Tra i primi, coloro cioè a cui va riconosciuta l’onestà intellettuale, c’è l’editorialista del Corriere della Sera ed ex direttore del Corriere del Mezzogiorno, Marco De Marco. Il quale su twitter si è chiesto come mai il Mattino titolasse che «Sarri merita rispetto e Mancini invece fa vergogna». 
 


È giusto spiegarlo ancora una volta, per la legittima comprensione del collega e per evitare che sulla sua battuta si inneschino altre strumentalizzazioni. Ed è giusto ricordare che il nostro titolo era il seguente: «Perché Sarri / che ha sbagliato / merita rispetto». Il secondo rigo del titolo, che precede il terzo, non lascia spazio a equivoci sul giudizio che il giornale dà di ciò che è accaduto. Sarri ha sbagliato. E nell’attacco del pezzo Francesco De Luca spiega che il tecnico azzurro «mai avrebbe dovuto dare del frocio a Mancini» e che «mai avrebbe dovuto minimizzare negli spogliatoi, dicendo che le cose di campo devono rimanere sul campo», perché questo non può essere condiviso.

È inaccettabile, cioè, che esista un’etica per la normali relazioni pubbliche e un’altra per il bordo campo. Se mai deve accadere il contrario: chi rappresenta una grande squadra è un simbolo e il suo buon esempio è tanto più doveroso. Né può invocarsi una scusante per così dire antropologica, cioé quella toscanità che nelle contrade senesi scatena baruffe tanto accese nella «pugna» quanto irrilevanti nella memoria, cosicché molti, tra coloro che oggi si menano senza risparmio di aggettivi e di colpi per difendere l’onore della propria bandiera, domani li trovi insieme a prendere un caffè e a scherzarci sopra. La teatralità depotenzia la realtà quando è condivisa, non quando è imposta ad altri senza preavviso e senza consenso.

Perciò il tecnico azzurro non poteva invocare, e non l’ha fatto, il suo essere un toscanaccio. Detto questo, è un altro il motivo che giustifica il terzo rigo del nostro titolo di ieri, e cioè: Sarri «merita rispetto». Che non vuol dire «Sarri ha ragione», e neanche «Sarri merita indulgenza». Vuol dire invece contestualizzare ciò che è accaduto prima, durante e dopo il fatto. Il «prima» è un clima di tesa rivalità, con frecciate dirette e indirette, di cui Mancini è stato di recente protagonista: come quando ha gridato contro la sfortuna e contro l’arbitro dopo lo scontro diretto in campionato vinto dagli azzurri al San Paolo con pieno merito.

Il «durante» riguarda il momento storico in cui l’ingiuria è avvenuta: a cinque minuti dalla fine, con il Napoli in svantaggio e alla vana ricerca del pareggio, con l’allenatore nerazzurro che abbandona la sua panchina e occupa lo spazio antistante quella azzurra per inveire contro il quarto uomo e destabilizzare la serenità del finale. In quel contesto a Sarri saltano i nervi e il suo impeto istintivamente pesca, dal repertorio ancestrale purtroppo presente nella memoria di molti uomini, una spregevole accusa. Che vale per quello che è: un gesto aggressivo e rozzo, a cui non sono certamente attribuibili intenti discriminatori. È un’offesa, la prima che viene nella testa di un italiano medio abituato, come lo sono ancora molti che occupano le istituzioni, i luoghi della politica, dello spettacolo e dello sport, a giocare con i simboli di un machismo d’accatto inattuale. Un lato oscuro che sarebbe bene, come ha intelligentemente proposto uno dei leader campani dell’Arcigay, illuminare con una sincera autocritica e mettere definitivamente alle spalle.

Perché «frocio» tra persone mediamente istruite e inserite in un contesto civile è una «non parola». Che tuttavia richiama e pretende immediate scuse. Ma le scuse sono venute, con sincera contrizione da parte del tecnico. Occhi bassi, voce scura e consapevole, atteggiamento di chiaro e sincero pentimento. In prima istanza nei confronti del destinatario delle offese, e in secondo luogo verso gli omosessuali e i tifosi tutti. Per questo Sarri merita il rispetto che si deve a chi ha sbagliato e ha dimostrato di aver compreso l’errore, non per una bieca convenienza tattica, ma per una riflessione matura sulla propria condotta. Chiunque abbia ascoltato e osservato il tecnico in tv nelle ore successive al fatto non può non convenire che fosse pentito per davvero.

Lo hanno compreso con saggia moderazione i giudici sportivi, che hanno inflitto a Sarri una sanzione commisurata alla sua condotta e alla sua colpa soggettiva. Perché Mancini invece fa vergogna? Perché non solo insegue il tecnico azzurro nello spogliatoio per aggredirlo, non solo non accetta le scuse, non solo lo offende con un epiteto altrettanto volgare, ma strumentalizza la vicenda in tv, ergendosi a paladino dei diritti degli omosessuali. Che lui ha insultato allo stesso modo in una circostanza analoga anni prima a Firenze, dando del «frocio» al giornalista della Gazzetta dello Sport, Alessio Da Ronch.

È tale il suo livello di scientifica cattiveria sportiva e umana che il tecnico arriva a invocare l’allontanamento di Sarri dal calcio. E va oltre. Tutto questo, dice, lo faccio a difesa degli omosessuali. Gli stessi che ha chiamato in causa quando l’offesa è uscita, non dalla bocca di un tecnico di provincia, ma dal suo nobile palato di calciatore blasonato, allenatore inseguito da tante società di livello e uomo avvenente e ammirato. A Mancini è venuta meno la memoria? Perché, se così fosse, potrebbe ancora riparare al suo peccato e porgere le sue scuse a Da Ronch. Invece lui smentisce la circostanza, salvo essere sbugiardato dal giornalista della «Rosea».

Per questo la sanzione sportiva comminatagli, e cioè l’ammenda di cinquemila euro, è giusta nel merito ma non copre il disdoro e la vergogna per un tecnico e un uomo che gioca con la morale come più gli conviene. Eppure Mancini suscita simpatia in alcune penne che si pretendono argute, anzi riscuote ammirazione pari al pregiudizio. Sentite che cosa scrive nella sua rubrica il vicedirettore del Foglio, Maurizio Crippa: «Il Mancio è stato stronzo, ma ha fatto bene. Perché s’è messo, sapendo di avere ragione, dalla parte della storia che ha ragione».

Avete capito bene? Mancini è un vero dritto, ha fiutato il vento e si è messo di poppa. Mentre Sarri, con la sua ingenua improntitudine, «andrebbe strozzato nella culla», in quanto non arriva neanche sulla soglia del politicamente corretto: «Perché gli uomini sono tutti fratelli, ma non sono tutti uguali. Abbiamo imparato tutti a vestirci, tranne Sarri. Abbiamo imparato tutti a stare al mondo, tranne Sarri», dice Crippa con convinta baldanza di essere originale e, perciò stesso, nel giusto. O meglio, la banale dimensione del giusto e del torto, con tutte le sue gradazioni di merito e di colpa, è estranea alla grammatica mentale di chi scambia per arguzia il proprio razzismo culturale. E conclude: «Non so se il Mancio sia frocio. Ma io mi sono innamorato».

Del resto, che Maurizio Crippa fosse innamorato di Mancini chiunque lo conosca un po’ la sa bene. Perché la sua fede interista acceca la sua ragionevolezza. L’amore di Paolo De Paola dura invece un giorno. È un colpo di fulmine seguito da una delusione improvvisa. Così il direttore di «Tuttosport» l’altro ieri titola, alzando i toni ed evocando la memoria dell’11 settembre, «Siamo tutti Mancini», ieri fa un’ammenda coraggiosa, professione d’umiltà così rara in un ambiente di tronfi. E perciò da lodare. «Non ho difficoltà a dire che, alla luce di quanto emerso, mi scuso perché Mancini è un ipocrita. La denuncia del tecnico sembrava veritiera e coraggiosa, Mancini sembrava un paladino e invece era solo una cosa falsa, perché lo stesso allenatore ha proferito la stessa accusa ad un giornalista quando era a Firenze e mi dispiace di aver fatto quel titolo».

Per uno che fa ammenda un altro che intigna. Beppe Severgnini sul Corriere della Sera, in un articolo che trasuda una rabbia ben maggiore della distanza in classifica tra il Napoli e l’Inter, se la prende perfino con Higuain, reo di avere a suo giudizio affrontato l’arbitro sbraitando con gli occhi di fuori. Ma soprattutto ce l’ha con i tifosi azzurri, i quali seppelliscono di fischi gli avversari non appena questi prendono la palla. Ma guarda un po’, che scellerati questi tifosi.

Osano fischiare gli avversari e incitare la propria squadra. E i cori, le scritte, gli slogan che gli stadi da lui amati riservano ai fan azzurri ogni qual volta il Napoli gioca in trasferta Severgnini non li ha visti? Insomma, cari colleghi rosicanti e rosiconi, siete belli e serviti. Sarri ha avuto quel che meritava, e nulla di quello che voi gli avreste augurato, il Napoli è ancora lassù e guarda tutti dall’alto. Con l’umiltà che si conviene ai grandi. Ci rivediamo in campo. Dove la bravura e l’umiltà valgono ancora qualcosa. 
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