Bruscolotti, il mal di vivere del campione senza paura nel libro «Una vita azzurra»

Bruscolotti, il mal di vivere del campione senza paura nel libro «Una vita azzurra»
di Francesco De Luca
Venerdì 5 Febbraio 2016, 17:10
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Quando lo vedevi in campo, ti sembrava insuperabile e invincibile. Agli attaccanti avversari mordeva le caviglie e toglieva il respiro, non a caso lo avevano soprannominato Palo e fierro. Però qualcosa rischiò di piegare Giuseppe Bruscolotti, difensore della classe 51, capitano del Napoli finché non arrivò Maradona, suo compagno nella squadra del primo scudetto. Un anno dopo quella festa che nelle strade della città fuse il tricolore e l'azzurro, Beppe decise di chiudere la carriera. Lo aveva messo in conto, ecco perché nell'85, quando consegnò la fascia a Diego, gli aveva detto: «Sbrighiamoci a vincere lo scudetto, io giocherò ancora due o tre anni». Ma non aveva previsto che non ci sarebbe stato più spazio, fuori dal campo, in quella società che aveva onorato fedelmente dal 72, giocando 511 partite. Il retroscena più amaro del divorzio è scritto nell'autobiografia «Una vita azzurra: Peppe Bruscolotti, storia del capitano del Napoli» (Rogiosi Editore, euro 14, pagg. 118), scritta da Rosario Bianco con il prezioso supporto fotografico di Sergio Siano.

Finito quel campionato nel caos per la rivolta di maggio (dopo aver perso lo scudetto Bagni, Ferrario, Giordano e Garella si scagliarono contro l'allenatore Bianchi), era la primavera dell'88, l'ex capitano fu convocato nella sede di piazza dei Martiri. Non trovò il presidente Ferlaino, che gli aveva promesso un ruolo di prestigio, ma il direttore generale Moggi, che gli propose di allenare una squadra giovanile. «E magari ti porto anche la borsa», alzò la voce Beppe, che avrebbe poi scoperto che Ferlaino lo riteneva «scomodo», dunque difficilmente collocabile nell'assetto societario. A 37 anni Palo e fierro, il difensore senza macchia e senza paura, fu colpito dalla crisi. Dal male di vivere. E Bianco rivela che quei giorni di forte depressione, curata con medicinali, a distanza di anni sono ricordati con un filo di voce dal protagonista. «Peppe trascorreva gran parte delle giornate in uno stato di totale assenza, la sua reattività si perdeva su una poltrona, sul divano, nell'assoluta inoperosità». Il declino psicologico del combattente amato da tutti gli allenatori, compagni e tifosi venne fermato da un difensore più forte di lui. Sua moglie Mary, che una mattina gettò i medicinali - «quelle schifezze» - nella spazzatura e restituì il sorriso al capitano, che avrebbe ritrovato la voglia di tornare tra la sua gente e di vivere.Partito dal Sassano, la squadretta del suo paese in provincia di Salerno, grazie alle insistenze del presidente Gerardo Ritorto il giovane difensore firmò per il Sorrento. Arrivato in serie B, fu segnalato al Napoli da Nicola D'Alessio detto lo Sceriffo.

Sarebbe stata una bellissima storia di fedeltà perché quell'azzurro Beppe lo ha indossato dal 72 all'88, sedici stagioni in cui vi furono periodi difficili e campionati ruggenti, come quelli del 75, l'anno in cui il Napoli di Vinicio sfiorò lo scudetto, e dell'87, l'anno in cui lo vinse. Bruscolotti confida che il passaggio ai metodi dell'allenatore brasiliano che importò la zona olandese fu inizialmente traumatico, però dopo si divertirono tutti e lui, il difensore che faceva tremare Riva e Boninsegna («Al primo contrasto i leggerini sparivano perché li menavo»), scoprì quanto bello fosse spingersi in attacco.Prima che Maradona, il sole d'Argentina, illuminasse Napoli, si era corso il rischio della retrocessione. Stagione 82-83, la più dura. La squadra era laggiù e non riusciva a rialzarsi, arrivò Pesaola in panchina ma perse Bruscolotti, colpito da epatite. Palo e fierro era isolato in ospedale, ai compagni e ai familiari arrivavano soltanto frammentarie notizie. Poi nel libro si racconta che un infermiere suggerì a Beppe di bere molto zucchero nell'acqua e la malattia, all'improvviso, regredì. Avrebbe dovuto aspettare per riprendersi e tornare in campo, però Pesaola ne aveva bisogno e così una domenica a Genova gli chiese di non andare tra i tifosi in tribuna, ma di indossare la maglia numero 2 e affrontare la Samp. Il capitano, anche quella volta, fu tra i migliori.Bruscolotti ha amato e ama il Napoli.

«Sai che quando scendi in campo non puoi, non devi, farlo solo per te stesso. Noi eravamo consapevoli che la città di Napoli aveva bisogno delle nostre vittorie. La maglia azzurra non è il classico simbolo sportivo da rispettare: è il vessillo del vero napoletano, il simbolo moderno». L'azzurro è stato una seconda pelle per Beppe («Anche in allenamento sentivo la necessità di tirare senza risparmiarmi») e per Maradona, che stabilì con Napoli un legame indissolubile anche grazie a questo amico. Ricorda, Beppe, due momenti con l'argentino: la partita sul campo della Juve il 9 novembre dell'86, quando lui annullò Platini e Diego trascinò gli azzurri al 3-1 che accelerò la corsa verso il primo scudetto, e l'ultimo recente abbraccio a Dubai, quando il campione gli regalò il pallone con la dedica «Grazie per avermi voluto capitano del Napoli». Sullo sfondo di questa bellissima storia l'amarezza per non aver indossato l'azzurro della Nazionale. Un'occasione negata da Bearzot, per questioni più geopolitiche che tecniche, e da Vicini, che nell'87 spiegò a Beppe di averlo ammirato contro Santillana in Real Madrid-Napoli di Coppa dei Campioni ma di non poterlo convocare perché aveva 36 anni. Quella fu l'ultima stagione per Bruscolotti, che giocò solo 10 partite. Nell'aeroporto di Capodichino, poco prima della partenza per il ritiro in Trentino, Bianchi gli aveva spiegato che era intenzionato a dare più spazio al giovane Ciro Ferrara. «Le scelte dell'allenatore non si discutono», la risposta prima di un viaggio tormentato, con il pilota che fece una manovra sbagliata e rischiò di far schiantare l'aereo che trasportava i campioni d'Italia a Bolzano.Ora Beppe sorride ricordando cosa accadde quel giorno, dalle parole di Bianchi che anticiparono la sua uscita dal Napoli al volo della paura che lo portò verso l'ultima estate di allenamenti, di sudore, di azzurro.    









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