Hamsik a cinque gol da Maradona
un altro passo verso la leggenda

Hamsik a cinque gol da Maradona un altro passo verso la leggenda
di Pino Taormina
Lunedì 20 Febbraio 2017, 08:14
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Verona. Nei secoli fedele a quel numero marchiato sulla maglia, sulla pelle e nel cuore, arriva il giorno della laurea a pieni voti per Marek Hamsik. Il giorno del gol numero 110. Evviva Marekiaro, a cinque passi dalla leggenda. Vuol sedere nel Pantheon, tra quelli che non scendono mai più dal trono. Né domani, né mai. Vuol dare del tu alla gloria e gli basta ormai pochissimo per prendersi quel record a cui tiene tanto. Maradona lo sa ed è pronto a fargli posto: tra un poco, probabilmente già quest’anno, lo agguanterà in vetta alla classifica dei marcatori della storia del Napoli. «Lo so che ci arriverai, sono contento che sia tu a farlo», gli è ha detto il Pibe quando lo ha incrociato a Castel Volturno. Il pallone numero 110 scaraventato alle spalle di un portiere non è memorabile: lo favorisce una carambola e lui ci mette il piatto. Un gol da opportunista, lui che non è che sia un attaccante vero. Ma 110 è una cifra tonda e insieme quadrata, proprio come il personaggio che rappresenta. Il record del Pibe sta per essere frantumato: negli ultimi due mesi, ha segnato cinque volte e alla fine di questa stagione mancano tre mesi. Fate voi i conti: è una marcia trionfale.

Dieci anni di corse felici con la maglia azzurra addosso, con quel 17 marchiato sulla pelle e nel cuore. La storia lo attende e Marek sa che è solo questione di tempo. Il primo gol al Cesena sembra appartenere alla preistoria: cross di Lavezzi e gol di sinistro. Anche in questo caso, da prima punta. Era la Coppa Italia, il 15 agosto del 2007. Da poco era arrivato dal Brescia, un ragazzino: niente cresta e qualche tatuaggio in meno. Il primo gol in serie A, una poesia: assist di Zalayeta e dribbling secco sul difensore della Sampdoria: era il 19 settembre dello stesso anno. Da allora a oggi, il capitano ha raggiunto e superato uno dopo l’altro nientemeno che Vinicio, Careca, Cané, Savoldi, Altafini, Vojak e per ultimo Sallustro. Gliene manca solo uno, per prendersi il trono. Uno, il più grande. «Anche se dovessi riuscirci, Maradona resterebbe comunque il migliore al mondo», ha ammesso Marek. Non parla, anche lui travolto dal silenzio stampa pieno di livore della società azzurra. Magari lo farà come al solito oggi dal suo sito. Intanto però il capitano ha messo sul proprio profilo Instagram la stessa foto postata da Reina nel ventre del Bentegodi, dove lui è lì sorridente a inviare un messaggio che non è complicato comprendere a chi sia destinato: «Grande gruppo, grande vittoria - si legge - sempre uniti, non si molla mai».

I gol di Marek sono cresciuti di anno in anno, di settimana in settimana, come tutto ciò che fa storia e addirittura leggenda: i no al Milan e ai grandi club, la rottura con il supermanager Raiola, il mondo chiuso tutto dentro il Napoli e dentro Castel Volturno. Un amore reciproco e totale, quasi ossessivo. La gente del Villaggio Coppola dove tutti sono divenuti amici del cuore, l’idolatria, i tatuaggi, la generosità sincera verso tutti: per non rinunciare a tutto questo, i gol sono stati molto, ma molto, di più delle vittorie sempre attese, sempre sperate e sempre sognate. Unico nel suo genere, giocatore nel senso più assoluto del termine: di gol ne ha fatti 110 ma di assist ne ha collezionati 107. 

Dicono che non faccia mai gol nelle serate che fanno la storia. Ingiusto: basta pensare alla magia di Istanbul, con il Besiktas, giusto per non allungarsi troppo in là nel tempo. Fa i gol senza essere un centravanti, spesso fa il non centravanti: è una specie di panda del calcio italiano perché dopo aver lasciato il club che lo ha lanciato, il Brescia, Hamsik dal Napoli non è mai andato via. Eppure le tentazioni sono state tante. Una vita, una squadra. Per il calcio di oggi, dove i grandi inseguono contratti, milioni e vittorie, un assurdo. Adora il soprannome che gli diede Paolo Cannavaro, «Marekiaro» e non vuole che nessuno degli inseparabili amici gli ricordi che il record di Maradona è vicinissimo. 
I capolavori pitturati da Hamsik sono adesso 110, splendidi. Ogni volta che può ricorda i sacrifici del papà Richard che aveva venduto la vecchia Skoda per consentire al figlio di giocare al calcio. La famiglia era tutta a Madrid, al Santiago Bernabeu per la sfida di Champions: ieri no, tutti ad aspettarlo a casa: ed è questa serenità, questa forza morale che bisogna ricorrere se si cerce il segreto di questi 110 palloni. Marek non ha mai disperso energia cattiva, ha sempre avuto fede in se stesso, ha amato la sua maglia e ha banalmente fatto il massimo ogni volta che gli chiesto di onorarla. E da quando è il capitano ha dato persino di più. Per questo la gente lo ama. Ed è per questo che lo critica pure, proprio perché è il figlio più amato. 

Maurizio Sarri sa che Hamsik è il leader della squadra perché è uomo solido, realizzato. Il bivio eterno lo ha affrontato la scorsa estate, prima di rinnovare: in pratica, si è legato in eterno al Napoli con un pensiero rivolto anche al dopo, quando magari farà il dirigente di questa squadra. Maradona a Madrid lo ha incoronato re: «Siete bravi, potete riuscire in quello in cui non sono riuscito io». La missione è ancora possibile. Ma al Bentegodi non c’è spazio per pensare a qualcosa di diverso del Chievo. Ma ora Marek sogna di avvicinare il record del Diez magari facendo gol ai Galacticos. Magari uno dei due gol che servono per arrivare ai quarti di finale della Champions. Perché lui ci crede a questa impresa, crede che sia possibile. Anche se non semplice. 

Marek ama Napoli sopra ogni cosa. Ha scelto questa città. Sta regalando un record immenso a questa maglia. E non solo: c’è anche il record di presenze che presto potrà abbattere: ora è terzo, a quota 435 mentre Juliano è a 505 e Bruscolotti è a 511. Considerando che il capitano ha un contratto fino al 2020, facile immaginare che dopo Maradona nel mirino ci siano loro. Quello al Chievo è il gol numero 12 dell’anno: 10 in campionato e due in Champions. Gli assist sono stati 9, perché lui è il capitano e se c’è da passare la palla lui lo fa e lo fa anche bene. Da un argentino a uno slovacco, il re sta per consegnare la corona.
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