Insigne, basta fischi:
il talento può tutto

di Mimmo Carratelli
Martedì 25 Ottobre 2016, 23:56 - Ultimo agg. 26 Ottobre, 09:27
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Corri, ragazzo, corri. Via dalla pazza folla, dai fischi crudeli, dal gol che non arriva, dai cattivi consiglieri, dalle lacreme napulitane. Ode ed epinicio per Lorenzo Insigne dopo la prima partita saltata e i tormenti di una stagione che non vuole andare per il verso giusto.

Quel tiro a giro che non va più ad accarezzare l’angolo alto della porta, la finta e la contro-finta che si infrangono sui raddoppi di marcatura, una condizione di forma non ancora brillante. Senza più centravanti, scatta l’emergenza delle tre pulci in attacco e, ora più che mai, il Napoli ha bisogno del ragazzo di Frattamaggiore, il più piccolo dei tre, sei centimetri meno di Mertens, quindici meno di Callejon, una pulce tra le più famose pulci del mondo, Gianfranco Zola, Diego, Leo Messi. Ora più che mai c’è bisogno del talento di Insigne perché il talento spariglia ogni difesa, inganna i giganti delle trincee, lascia sul posto i malvagi portatori di tackle.

Il talento può tutto, quel piccolo grande fuoco che i predestinati hanno dentro, il fuoco di Lorenzo che s’è ridotto a una fiammella e non divampa, stenta a farlo, chiuso nel ricordo di quel sorprendente calcio di punizione che, tre anni fa, abbatté il Borussia Dortmund al San Paolo e mandò il portiere Langerak, un australiano di 1,92, a rimetterci due incisivi finendo contro il palo. Fu l’annuncio di altre prodezze quella sera che segnò il debutto di Lorenzo in Champions al tempo di Benitez. Il folletto azzurro aveva ventidue anni e usciva dalle lezioni magiche di Zeman. Ma non è stata facile la strada spianata da quell’incantesimo. Il talento divampava a corrente alternata, i tifosi del San Paolo mugugnavano e a Insigne sono toccati spesso quei fischi riservati soprattutto ai giocatori di casa, chissà perché più “colpevoli” degli altri. Il San Paolo fischiava anche Totonno Juliano quand’era il leader del Napoli.

Nel tentativo di capire il mancato decollo di Lorenzo in questa stagione spesso si parla di un possibile disagio per il rinnovo del contratto ancora per aria. Le pretese del suo procuratore, un Andreotti ma Fabio, sono apparse eccessive e, pubblicizzate, hanno accresciuto il malumore dei sostenitori azzurri. Ma non si va in campo frenati da un contratto. In campo, c’è solo voglia di giocare. E questa voglia Lorenzo ce l’ha sempre. La voglia di giocare e il Napoli. Non baratterebbe la maglia azzurra per nessun’altra. Con Sarri, oltretutto, Insigne è stato al centro del progetto del tecnico sin dall’inizio con quell’esperimento di trequartista dietro le due punte, poi esterno del 4-3-3. Un titolare, insomma, anche se la staffetta con Mertens divenne una «abitudine».

Se il belga scalpitava in panchina, Lorenzo forse ne soffriva in campo con qualche gesto di disappunto poco compreso quando veniva sostituito, ma sempre «protetto» da Sarri. Insigne si è così sentito continuamente sotto esame, mentre sognava di essere la «bandiera» del suo Napoli. Tuttavia, la rivalità fra i due esterni era più apparente che sostanziale. È ancora viva l’immagine di Lorenzo che, dalla panchina, corre ad abbracciare Mertens che ha appena segnato un mirabile calcio di punizione al Benfica. Ora, l’emergenza dell’attacco esclude qualsiasi cambio e sostituzione. Ma non è questo il problema. I giocatori giovani hanno bisogno di essere “accompagnati” nella loro crescita e la società, soprattutto, dovrebbe incaricarsene per tutelarne il patrimonio tecnico ed economico. Si è detto spesso che nel Napoli manca la figura di un dirigente «vicino» ai giocatori.

Sarri non può fare tutto, l’allenatore, lo psicologo, il confessore e il «buon medico di famiglia» come faceva Pesaola in altri tempi più semplici e con una società eternamente in ebollizione. Giuntoli è il direttore sportivo, De Laurentiis fa il presidente. Ma chi sta vicino ai giocatori nei loro momenti di difficoltà, di crisi e di incomprensioni? Non un sorvegliante, ma una figura di prestigio che faccia da «cuscinetto» fra la società e il calciatore. Il Napoli non ce l’ha e sarebbe necessaria perché i calciatori sono degli eterni bambini mai cresciuti e pochi hanno il carattere per cavarsela quando le cose non girano. Indubbiamente, Lorenzo Insigne è più una deliziosa farfalla che un leone. La fragilità del suo carattere, compromessa forse da un entourage poco pacato, andrebbe sostenuta e le sue difficoltà capite.

Un lavoro essenziale dietro le quinte.
Ma chi può farlo nel Napoli? Chi, sotto gli alti livelli, smussa, dialoga, ascolta, convince? Al di là di pretese ed eventuali ripicche, che non sono del ragazzo di Frattamaggiore, il Napoli ha il dovere di difendere un giocatore come Insigne, tutti i suoi giocatori, si capisce, e, senza retorica, ancora di più un calciatore di casa con la «debolezza» naturale di volere essere un protagonista nella maglia che più ama, quindi più facilmente fragile nella sua passione. È anche il caso di Gabbiadini, se vogliamo. Il Napoli ha un vice-presidente giovane. Ha le qualità per stare «vicino» ai giocatori? Potrebbe averle, ma, sfortunatamente, ha un limite. È «il figlio del padrone».
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