L'ottovolante azzurro: così il Napoli di Sarri si diverte

L'ottovolante azzurro: così il Napoli di Sarri si diverte
di Mimmo Carratelli
Giovedì 15 Settembre 2016, 10:24 - Ultimo agg. 10:43
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È il Napoli di Sarri, «il più bel Napoli degli ultimi dieci anni» ha detto Hamsik. Oltretutto non più poveri, con i bilanci in ordine, e belli. Viviamo una spensierata euforia. Perché vedere giocare il Napoli è diventato un piacere.
L'altra sera, a Kiev, pur con qualche difetto, il Napoli ha esordito in Champions con elegante efficacia. In passato, una sola volta il Napoli conquistò in Europa applausi e giudizi lusinghieri. Fu quando, in tv, Enrico Ameri gridò al gol di Clerici e alla meraviglia per il Napoli di Vinicio protagonista assoluto a Oporto, Coppa Uefa 1975.
Il più bel Napoli degli ultimi dieci anni sotto il giogo di De Laurentiis? Proprio così. Che gli azzurri, ammaestrati da Sarri, dai droni e dai computer, si stiano divertendo, avendo mandato a memoria, schemi, movimenti e sovrapposizioni, è testimoniato dal feeling fra squadra e allenatore, come è successo nel dopo-partita in Ucraina. Quando, cioè, le due parti hanno convenuto che s'era giocato male in superiorità numerica. E Sarri ha centrato il problema. Con l'uomo in più, il Napoli è rimasto in bilico fra andare a cercare il 3-1 o difendere il 2-1 che non è nelle corde di questa squadra, come ha sottolineato il tecnico. Il Napoli non sa gestire le partite, non ha un possesso-palla difensivo, sa solo andare avanti. Insomma un progetto, una felicità e un «mea culpa» condivisi come raramente accade.

Ecco, allora, la differenza col Napoli di Mazzarri, il primo Napoli in Champions, una squadra più rude, più votata in difesa avendo all'attacco Lavezzi e Cavani, più attenta e attrezzata a contrastare l'avversario. Non una formazione-spettacolo, ma un po' di calcio all'italiana con risultati eccellenti (un secondo e un terzo posto nei quattro anni di Mazzarri), molti sbracciamenti a bordo-campo, sempre qualche tremore non imponendo il gioco, subendolo e partendo di rimessa con le cavalcate del Matador e i guizzi del Pocho. Più il tormento del turn-over. Quel Napoli arrivò agli ottavi di Champions cedendo ai supplementari contro il Chelsea allo Stamford Bridge. Un grande traguardo.

Con Benitez arrivò la «rivoluzione internazionale». Perduto Cavani, ecco Higuain, Reina, Albiol, Callejon, Mertens. Rafa era il miele che attirava giocatori di valore. Una svolta. Ci sentimmo il Real Napoli. Un nuova squadra (terzo e quinto posto), una promessa di luci della ribalta, ambizione e recita da grande compagnia del football. Ma, forse, una squadra sbilanciata. Al secondo anno di Benitez, anche un idillio al tramonto lasciando l'orgoglio dei 12 punti in Champions, ma anche una confusione di ruoli e avvicendamenti. Titolarissimi e scartine.

Mazzarri e Benitez contarono sui gol di Cavani e Higuain. Molta palla lunga e pedalare. Con Rafa anche un certo aplomb europeo. Sarri ha puntato sul gioco tanto da assorbire la partenza del Pipita a conferma di un'Arcadia azzurra (non solo in onore di Arkadiusz Milik), cioè una poetica nuova del pallone che propone la gioia del gioco, la felicità di stare in campo, il piacere della partita, il gusto di tenere il pallino del match da protagonisti, sicuri all'esame del campo dopo avere molto studiato a Castel Volturno. Vincere sarà un traguardo che verrà dopo una maturazione completa di tanto trasporto e godimento.
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