Higuain, la maglia
e il mercato

di ​Biagio de Giovanni
Giovedì 28 Luglio 2016, 14:57 - Ultimo agg. 15:33
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È venuto forse il momento di laicizzare la questione Higuain, di abbassare i toni, di ragionarvi « sine ira ac studio», diminuendo il tasso di passione. Toni, secondo me, troppo alti a botta calda, con al centro, rimbalzante, l'accusa decisiva, la peggiore possibile: «traditore». Naturalmente, come si poteva immaginare, il sindaco ha preso la palla al balzo e si è inserito nella corrente di popolo che ha segnato con quella parola, aspra oltre ogni dire, il comportamento del giocatore argentino. Al suo posto, anche per il ruolo istituzionale ricoperto, avrei lanciato un'altra parola d'ordine: vinceremo anche senza di lui, raddoppieremo gli sforzi, avrei lanciato un messaggio a tutta la squadra, ma ognuno è fatto in un modo e non insisto sul tema.

Torniamo a noi. Dunque, già i toni si sono un po' abbassati, come sta a indicare anche qualche articolo comparso sul nostro giornale. Ma vorrei fare un passo ancora più avanti, di sicuro contro corrente, e forse alienandomi la simpatia di qualche amico. Dinanzi alle cose che avvengono, ammoniva il filosofo, bisogna capire, «intelligere», non piangere, non disprezzare, non gridare. E dunque proviamo ad assumere questo atteggiamento. Che Higuain abbia agito nel proprio interesse, non credo sia dubbio, ed anzi per molti è proprio la cosa da condannare: ma come? dimentica l'abbraccio del San Paolo, la quasi-promessa, e osa guardare al proprio interesse? Ma chi di noi, nella normalità della vita, non guarda al proprio interesse?

Chi di noi, nella normalità della vita, agisce consapevolmente contro di esso? Certo, possono esservi comportamenti pronti al sacrificio, alla rinuncia, ma si tratta di scelte difficili, o affidate ad anime nobilissime che trovano il proprio interesse proprio nella rinuncia, o a personaggi vocati all'ascesi. Non credo sia il caso di Higuain, al quale, ad anni 29 suonati gli do ancora tre anni di questo splendore: poi dovrà «aggiustare» il proprio ruolo di faina - è stata proposta l'occasione della vita, stare in una squadra che sta ormai per diventare la squadra da battere in Europa (mia previsione). Perché il ragazzo argentino avrebbe dovuto dire di no? Nomadi senza passione sono diventati i giocatori, si è sentito in obbligo di dire Totti, romano di nascita e romanista di elezione. Ma le cose sono un po' diverse. I giocatori, provenienti oggi da ogni parte del mondo, sono sul mercato, scelgono la loro destinazione. Alcuni cambiano casacca durante il campionato, per cui giocano contro la squadra nella quale avevano giocato, letteralmente, fino a ieri. Quale squadra oggi è squadra di bandiera? Nel Napoli c'è un solo giocatore italiano titolare (per di più napoletano). E facciamo il suo caso: immaginiamo Insigne che gioca nel campionato inglese, in una squadra di classifica medio-alta e piuttosto avara nel proprio rafforzamento, e immaginiamo che il Manchester o il Chelsea ne faccia richiesta.

Che fa Insigne? Va via o resta legato al suo «popolo»? Non è retorica la domanda? Certo, possiamo rimpiangere altri tempi, il Napoli di Sentimenti II, Pretto, Berra etc, ma non possiamo spostare all'indietro la lancetta del tempo, e peraltro è difficile non vedere anche il vantaggio di un tempo in cui da ogni parte del mondo possono venire a giocare per te. In un mondo non più centrato sulle patrie, proprio i giocatori di calcio dovrebbero averne una? Ma che retorica è questa? Infine, domanda paradossale ed estrema, un fuori onda: c'è qualcuno che sacrificherebbe, come un tempo avveniva volontariamente a livello di massa, la propria vita per la patria, o si direbbe che la patria non può avere la pretesa di questa richiesta? Allora, a scalare Ma non usciamo dal seminato. E il seminato ci fa aggiungere dell'altro, un discorso tutto sul calcio, sulla società calcio-Napoli, impersonata dal suo dinamico presidente, cui tanto dobbiamo noi tifosi, e al quale tutta la città deve molto, ma che poi d'improvviso scompare dalla scena, silente. E qui c'è un «ma».

E qual è? La società è stata incerta, debole, quasi assente sul mercato, prima di subire il knok-out della cessione di Higuain; bene, anzi ottimo l'acquisto di Giaccherini, ma poi? Dove sono finite le promesse di fine campionato? Dove è finita l'idea della grande squadra, adeguata alla Champions? In una città carica di tanta passione e ora preda delle sue delusioni? E volete che questo non incida sulle decisioni dei giocatori? Sull'intepretazione del proprio interesse? E perché non dovrebbe? Higuain, finché c'è stato, ha giocato mirabilmente, da grande professionista. Ringraziamolo per questo. Non doveva restare silenzioso nella fase del trasferimento? Quasi nascosto in questi giorni? Certo, non doveva, è fin tropo facile deviare su questo la rabbia che ancora c'è in giro. Chi sa, bisognerebbe conoscerlo: imbarazzo o arroganza o indifferenza? Chi sa.

Ma la cosa forse non ha più grande importanza, le cose sono andate così e vorrei fare una previsione, forse l'unica di questo «pezzo» che può esser digerita dalla maggioranza dei tifosi che mi perdoneranno il resto: Higuain non riuscirà mai più a ripetere un campionato come quello giocato nel Napoli, dove tutti giocavano per lui. Forse da questo punto di vista avrà qualche nostalgia. Ma, giunti a questo punto, chi se ne importa?
 
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