Napoli. Ma Sarri e Dela hanno la stessa strategia?

Napoli. Ma Sarri e Dela hanno la stessa strategia?
di Francesco De Luca
Sabato 10 Settembre 2016, 09:47
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C’è qualcosa - più di una cosa - che non convince nell’intervista prepartita che Sarri ha fatto a Premium Sport per ragioni contrattuali, perché rientra nel pacchetto di servizi lautamente pagati al Napoli. Sembra che il tecnico, alla ripresa del campionato e prima delle trasferte di Palermo e Kiev, metta le mani avanti su più fronti, a cominciare dal vecchio discorso sulla concentrazione degli impegni di club e nazionali: si rassegni e ci faccia l’abitudine perché l’allenatore di una grande squadra dovrà sempre confrontarsi con questo tipo di problematiche. Se l’organizzazione dei calendari «è una follia», ne chieda ragione ai suoi dirigenti che partecipano alle assemblee di Lega in cui vengono stabilite le date dei campionati. Scoprirlo dopo non serve a risolvere il problema, potrebbe invece sembrare un alibi.

Quello che più colpisce, e merita una riflessione, è il discorso sul mercato. Pochi giorni fa, tracciando il bilancio delle operazioni, De Laurentiis aveva detto: «Abbiamo investito tra 140 e 150 milioni considerando gli acquisti e i rinnovi dei contratti. Il Napoli è la squadra europea che si è rinforzata di più in prospettiva: il materiale messo a disposizione di Sarri è esplosivo». Sarri ha indirettamente replicato con una puntualizzazione sul mercato definito «di prospettiva»: «Bisogna vedere questa prospettiva quanto ci costerà nel breve periodo. Ci vorrà pazienza, vedremo se nel frattempo riusciremo a restare competitivi».

Sorge il dubbio, ad ascoltare queste dichiarazioni, che De Laurentiis e Sarri non abbiano concordato completamente la linea da seguire sul mercato, basata su su ampliamento e ringiovanimento dell’organico. Perché, dopo soli 180 minuti di campionato, il tecnico si chiede «se riusciremo a rimanere competitivi»? Condivide la strategia del suo presidente, regista di tutte le operazioni, da Tonelli a Maksimovic? Il Napoli è competitivo, deve esserlo in virtù degli investimenti fatti, che sono prospettici ma fino a un certo punto. Milik ha giocato da titolare, con ottimo profitto, nell’Ajax per due stagioni ed è il partner di Lewandowski nella Polonia. Per il suo connazionale Zielinski è cominciato il terzo campionato in Italia. Il diciannovenne Diawara ha giocato 34 partite col Bologna, prima della rottura, e Rog ne ha disputate 40 nei tredici mesi con la Dinamo Zagabria, più del celebrato Pjaca passato alla Juve. Infine, Maksimovic si prepara alla quarta stagione italiana. È vero che alcuni dei nuovi non sono nelle migliori condizioni ma c’è tempo.

Si riparte da Palermo, dove il Napoli stasera trova il più giovane allenatore del campionato, il trentasettenne De Zerbi, che visse una breve esperienza in azzurro conclusa con la promozione in serie A. L’obiettivo è la prima vittoria stagionale fuori casa, dopo il sofferto pareggio a Pescara. Negli ultimi tre mesi dello scorso campionato gli azzuri hanno vinto in trasferta soltanto tre partite (Lazio, Palermo e Torino). Sarri non ha annunciato la formazione, non lo fa mai. Stavolta i dubbi riguardano due posti su tre in attacco. Candidato a giocare dal primo minuto nuovamente Milik, caricato dalla doppietta al Milan. Alla fine di sofferte trattative (Icardi) e improbabili sondaggi (Cavani) è stato scelto il polacco come sostituto di Higuain, dolorosa partenza che la squadra si sforza di superare. Ma Sarri ha voluto chiarire che non sa se del Napoli «è aumentato il valore assoluto perché perdere Higuain che ha fatto 36 gol è pesante». È una legittima constatazione, anche se non incoraggia chi oggi fa il centravanti indossando la maglia numero 99 anziché la 9. È un’osservazione che avrebbe fatto se De Laurentiis fosse riuscito a prendere Icardi o Morata? Milik non ha i trascorsi professionali di Higuain, che aveva già vinto con il Real Madrid e partecipato a un Mondiale con l’Argentina. La sua designazione è stata una scelta in parte obbligata, adesso con Sarri ha ampi margini di miglioramento perché il gioco valorizza gli attaccanti, come la sua carriera ha dimostrato ancor prima del brillante sodalizio col Pipita.
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