Cannavaro: «Napoli finalmente italiano. E la società sostenga Sarri»

Cannavaro: «Napoli finalmente italiano. E la società sostenga Sarri»
di Francesco De Luca
Sabato 20 Giugno 2015, 08:59
3 Minuti di Lettura
L'amarezza non è passata. «Ci vorrà un po' per digerire l'esonero». Il primo nella freschissima carriera di Fabio Cannavaro, costretto a lasciare la panchina del Guangzhou anche se la squadra era al vertice della classifica del torneo cinese e avanti nella Champions d'Asia. «Ma c'è anche la soddisfazione di aver fatto un buon lavoro e di aver lasciato un segno, come mi ha confermato la commozione dei giocatori e dei tifosi prima che tornassi a Napoli».



Perché è finita con questo esonero?

«Incomprensibile, a leggere il nostro score. Ma i proprietari del club, con cui sono rimasto in buoni rapporti, avevano deciso di fare una scelta diversa quando se n'è andato Lippi, che ricopriva l'incarico di direttore tecnico. E alla prima sosta del campionato sono stato sostituito. Al di là dei risultati, ho utilizzato quasi esclusivamente calciatori cinesi, tra i quali molti giovani. Altrove mi avrebbero proposto il rinnovo, là mi hanno servito l'esonero... Resta il ricordo di una fantastica esperienza».

E adesso che cosa farà il capitano mondiale? Un incarico nel Milan, dove è diventato azionista il suo amico Bee Taechaubol? O nella Fifa, che potrebbe essere aperta agli ex campioni dopo le dimissioni del presidente Blatter?

«Calma. Io voglio fare l'allenatore. È un lavoro che mi affascina e ritengo di poter migliorare ancora tanto. Una panchina in Italia o all'estero, per me il luogo non ha importanza».

E l'amicizia con Mr. Bee, il nuovo socio di Berlusconi?

«Siamo molto amici e anche soci nella “Gls”, la mia società che organizza esibizioni delle leggende del calcio in giro per il mondo. Quando ha deciso di entrare in questo mondo, mi ha chiesto un consiglio e io gliel'ho dato. Tutto qui».

Lei non gli consigliò il Milan, però.

«In quei mesi, parliamo di novembre-dicembre, circolava la voce, chissà quanto fondata, che De Laurentiis volesse vendere la società e io gli parlai del Napoli. Gliela buttai là, niente di particolare. Ma Bee disse che si sarebbe concentrato sul Milan perché aveva un prestigioso brand».

Quando lei partì per la Cina, il Napoli era una squadra con un paio di italiani. Adesso De Laurentiis punta sulla italianizzazione, anzi sul calcio di provincia. Che ne pensa?

«Io sono stato sempre favorevole ai giocatori locali: in Cina davo spazio ai cinesi, l'ho detto. C'è un aspetto motivazionale da valutare: un calciatore indigeno, anche se magari tecnicamente un po' inferiore allo straniero, riesce a raggiungere pari livello perché ha stimoli forti. Le migliori squadre del nostro Paese sono state storicamente fondate su calciatori italiani e, quando sono stato al Real Madrid, ho avuto la possibilità di giocare con spagnoli di grande qualità e prestigio. Non sono contrario agli stranieri, sia chiaro: ho avuto straordinari compagni che provenivano da altre nazioni, uomini che in campo facevano la differenza. Ma io sono per gli italiani e come potrebbe essere diversamente?».

Allora approva la linea scelta dal Napoli per il dopo-Benitez?

«Era ora: giusto puntare sugli italiani».



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