Napoli, tutti allo stadio: contro la Lazio è la nostra finale di Maurizio de Giovanni

Napoli, tutti allo stadio: contro la Lazio è la nostra finale di Maurizio de Giovanni
di Maurizio de Giovanni
Mercoledì 27 Maggio 2015, 16:56
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Volevamo una finale, no? L’avevamo attesa, ce l’eravamo immaginata. Ce l’hanno tolta dal piatto, prima quella di coppa Italia quando ci godevamo il buon risultato dell’andata, poi in Europa League quando abbiamo esultato per il (pensavamo) favorevolissimo sorteggio.



Abbiamo detto mille volte che il Napoli di Benitez, poco passista e quindi inadatto al lungo torneo italiano fatto di tattiche, perdite di tempo, catenacci e ripartenze, era per dir così formattato sulla formula internazionale, con la partita singola dalla quale tirare fuori il meglio. E abbiamo molte volte detto che i campioni che militano in azzurro possono meglio trovare i propri colpi se adeguatamente motivati dall'importanza della posta in palio. È vero, siamo stati smentiti: l'ultima volta sabato scorso, quando era ben chiaro che contro le seconde linee dell'appagatissima Juve ci si giocava gran parte del destino, e ciò nonostante né Benitez né la squadra hanno trovato anima e coraggio, sciogliendosi invece al sole della primavera torinese.



Ma la gara tra il campionato e il Napoli, il primo a generare e offrire occasioni per salvare l'annata e il secondo a gettarle puntualmente alle ortiche, non era evidentemente finita e il caso ha tirato fuori dal cilindro un altro coniglietto rosa. Qualcosa nel destino del tecnico spagnolo dev'essere legato a questa data: il venticinque di maggio. Lo stesso giorno in cui il suo Liverpool recuperò tre gol al Milan, vincendo poi ai rigori una meravigliosa e imprevista Champions League, nel 2005. Per carità, siamo certi che nell'anima del partente tecnico spagnolo non ci sia paragone tra i due regali, quello degli inglesi e quello ricevuto dalla Roma in extremis che ci ha procurato quest'ennesima finale: ma per noi tifosi, che questa stagione l'abbiamo vista accartocciata e buttata nel water almeno sette, otto volte dalla notte di Bilbao in poi, l'importanza è enorme. Perché, quando già in molti guardavamo a un fosco futuro di medioevo prossimo venturo con l'evidente ristrettezza di mezzi derivante dall'assenza dall'Europa che conta, quando già impazzavano il totoallenatore, il totocentrocampista, il totocentravanti e il totodirettoresportivo, ci ritroviamo di nuovo in campo a giocare. E a giocare per vincere.



Sì, perché come a tutti noto il Napoli ha ancora una volta, davvero l'ultima per questo strano travagliato anno, un solo e unico risultato: dobbiamo vincere. E in soli quattro giorni l'ambiente, tutto l'ambiente, dovrà necessariamente ricompattarsi, trovare forza e unità d'intenti e battere la Lazio. In campo ci andremo tutti: squadra, staff tecnico, società, giornalisti, commentatori, addetti ai lavori e tifosi, fino all'ultimo avventore dell'ultimo bar dell'ultimo avamposto antartico in cui un qualche cuore azzurro vedrà la partita, per tutti insomma varrà un unico, fortissimo imperativo. Certo, non ci si arriva bene. La frattura che c'è, senza più bisogno di nasconderla, tra il tecnico madrileno e alcuni importanti leader della squadra è profonda e insanabile. Higuain in primis, ma anche Hamsik e alcuni comprimari come Zapata non vedono l'ora che le proprie strade e quelle di Benitez si separino; Callejon, Rafael e altri sanno che non sarà questa la maglia con la quale disputeranno il prossimo campionato, e forse nemmeno questo il paese dove calcheranno i campi; altri ancora sono consapevoli di non rientrare nei piani futuri della società, qualsiasi sia il destino della squadra.



Ma c'è da giocare una finale, adesso. Ora non è più, o non è ancora, il momento di pensare ad altro che alla partita. Perché da essa dipende non soltanto il giudizio su un cammino tecnico che dura da due anni, né la consapevolezza di una forza o di una debolezza di una rosa assemblata secondo principi tuttora ignoti e probabilmente carente sotto il profilo tecnico e anche sotto quello caratteriale. Ora è il momento di riempire il San Paolo e di far tuonare il cielo di Fuorigrotta; ora è il momento di invadere il mondo del calcio italiano di gioia e di furore agonistico, ricacciando in gola a tutti canti di sfottò e cori ottusi; ora è il momento di trovare insieme la forza di abbattere l'ultimo ostacolo sulla via di un futuro che può essere ancora roseo, con introiti sufficienti a una rifondazione attesa. Ora è il momento di andarci a riprendere quella famosa musichetta, da cantare stavolta per tutto l'anno sotto la guida di chi voglia intraprendere un bel progetto nuovo, e avendo in campo chi ha l'orgoglio di giocare in una città che merita felicità, con addosso una maglia che ha il colore più bello del mondo. Andiamocela a prendere, quella musichetta. Tutti insieme. Spalla a spalla, come disse qualcuno.

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