Sacchi: «Napoli, il gioco arma vincente ma lo scudetto è un’impresa»

Sacchi: «Napoli, il gioco arma vincente ma lo scudetto è un’impresa»
di Pino Taormina
Venerdì 4 Dicembre 2015, 09:08 - Ultimo agg. 15:25
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«La bellezza salverà il mondo». Arrigo Sacchi indossa i panni del principe Mishkin di Dostoevskij per esaltare il primo posto del Napoli. Lo fa alla sua maniera, sia chiaro. Un passato da grande rivoluzionario, un presente da faro illuminante per tanti allenatori. Compreso Maurizio Sarri.

Quindi, cosa sta mostrando e dimostrando questo Napoli?
«Per troppo tempo, abbiamo tradito l’essenza del calcio che è un gioco d’attacco. Lo abbiamo sempre concepito come uno sport individuale dove i difensori devono difendere, il numero 10 inventare, il numero 8 pensare a tutto e il 9 fare gol. Quindi abbiamo costantemente trascurato il gioco, che è la componente che fa da collante a tutto, aggrappandoci alla furbizia pur di vincere. Abbiamo sempre pensato allo spirito ma non a quello che dà l’armonia. Proprio noi che abbiamo esportato l’arte, la moda in giro per il mondo. Il Napoli di Sarri è invece una squadra che gioca in 11. E quando non lo fa rischia di giocare male come nel finale della gara con l’Inter».

Sembra quasi la descrizione del Milan di Sacchi?
«Il primo anno in rossonero mi ritrovai con una difesa composta da Galli, Tassotti, Bonetti, Baresi e Maldini che l’anno prima aveva incassato 22 gol. Arrivai io e ne prese appena 12».

Più o meno come è successo a questo Napoli?
«Esatto. Albiol e Koulibaly sembravano al capolinea, Ghoulam non ne parliamo, Hysaj viene dall’Empoli. Ma Sarri ha portato una organizzazione, dove non c’è mai l’uno contro uno, ma un blocco che difende e dove ognuno è consapevole di poter fare affidamento sul proprio compagno. Sembra una cosa di poco conto, ma non lo è».

Però, lei non crede che possa vincere lo scudetto.
«Deve succedere qualcosa di straordinario perché avvenga. Anche Sarri lo sa, quindi nessuno gli chieda l’impossibile».

Perché?
«Deve esserci un motivo se Fiorentina, Roma e Napoli, messe insieme, non fanno neppure la metà degli scudetti vinti dall’Inter. Deve esserci un motivo se erano venticinque anni che la squadra azzurra non era prima in classifica. La mentalità vincente è un fattore che vive nelle strutture della società, che si respira nell’ambiente. Quanti sono i giocatori del Napoli che hanno vinto qualcosa di importante nella loro carriera?».

Beh, neppure nel suo Milan quando arrivò lei c’era una folla di vincenti...
«È vero, nessuno si era mai piazzato neppure tra i primi dieci nella classifica del Pallone d’oro. Ma tutti capirono che l’organizzazione del gioco non è il nemico del giocatore, ma è come il bastone per un anziano. Berthold Brecht diceva che senza un copione ci possono essere soltanto improvvisazione e pressapochismo».