Volpecina, il gol che stese la Juve e fece la storia

Volpecina, il gol che stese la Juve e fece la storia
di Marco Ciriello
Venerdì 12 Febbraio 2016, 09:35 - Ultimo agg. 12:20
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«Ogni tanto si avvicina qualcuno e mi dice che quel giorno era a Torino, e poi mi racconta il gol. Comincio a pensare che avrei dovuto segnarmi tutti i loro nomi in questi trent'anni, perché non c'erano così tanti napoletani allo stadio». Sembra una scena de L'uomo in più di Paolo Sorrentino, ma è la vita di Giuseppe Volpecina, terzino del Napoli di Maradona che batté la Juventus a Torino per tre a uno, e che poi vinse lo scudetto nella stagione '86-'87. Lui può dire: voi l'avete sognato, io l'ho fatto.

«Sono un uomo fortunato a cominciare da quel gol, nato dall'egoismo di Andrea Carnevale: che parte e non la scambia con me nonostante gli avessi chiamato il pallone, e poi è costretto a darmela. Se avesse passato prima, cambiava tutto, e si sarebbe ritrovato solo davanti alla porta. Invece, ha tergiversato e per questo finisco in fuorigioco. Alla fine, sul limite dell'area, finalmente, la tocca, io mi fermo e tiro». Un sinistro angolato, che finisce alla destra di Tacconi, che non può arrivarci. È il terzo gol, dopo quelli di Ferrario e Giordano che avevano ribaltato l'iniziale vantaggio della Juventus con Laudrup. Il gol di Fabio Grosso alla Germania è molto simile, anche se ha una area di rigore più affollata. Sono entrambi difensori che vanno a risolvere la partita. «Dopo il gol, non vedevo l'ora che l'arbitro fischiasse la fine. Correvo e sapevo di aver fatto una cosa importante, non pensavo, però, che durasse tanto. Qualche settimana fa, su un campo di periferia a Caserta, un uomo, anziano, si è inginocchiato per ringraziami». Oggi Volpecina fa l'osservatore per il Torino in un vortice di coincidenze ma vive ancora a Caserta, da dove partì la sua esperienza di calciatore. «La cosa che mi dicono subito: che bellezza, eri in fuorigioco. Godono del torto, e poi elogiano il tiro».

Arriva alle giovanili del Napoli attraverso Cané: «che mister, ci massaggiava pure», che lo porta a giocare un torneo a Rimini; poi con la primavera del Napoli vince lo scudetto, fa l'esordio in prima squadra e dopo viene ceduto al Palermo (1980-84): «lì, ho imparato a bere e a studiare il vino, grazie a Gianni De Biasi l'attuale allenatore dell'Albania ». Passò al Pisa ('84-'86): «quasi per caso mi capitò di marcare Maradona per la prima volta. Per tutta la settimana il mister Vincenzo Guerini provò Bruno Caneo, che era uno tipo Gattuso, ma Diego gli sfuggiva sempre. Così mi chiese: te la senti di andare a marcare il dieci? Potevo dirgli di no?» In quella partita Italo Allodi lo vide nel Napoli del futuro: «dopo mi disse che quando stava a Firenze veniva sempre a vedermi ma io non lo sapevo, tra l'altro al ritorno contro il Napoli lanciai in porta Klaus Berggreen, ci tenevo sempre a fare bella figura, perché volevo tornare, tanto che lo dissi anche al presidente Anconetani: me ne vado solo se mi chiama il Napoli». E il Napoli chiamò. «Quella prima della partita fu una settimana normale. Ottavio Bianchi era un tipo freddo, che solo la domenica parlava. Il suo era un lavoro di equilibrio. Provammo molto i calci piazzati, che poi tornarono utili». E il viaggio? «Eravamo un gruppo allegro, dove Maradona faceva quello che oggi fa Reina. Si metteva a palleggiare con la frutta, raccontava barzellette».

E la partita? «Prima del fischio: tesissimi.
Nell'intervallo: incazzati, non stavamo giocando al meglio, e nel secondo tempo capimmo tutti che potevamo batterli». E poi il gol. «Quando Giordano la passa a Carnevale, gli sono andato dietro per istinto». Andandogli dietro, Volpecina, non lo sa ma sta per entrare nella storia del Napoli. Lo ha scoperto dopo: «il ricordo più bello rimane il pullman che ci portava allo stadio per la partita con la Fiorentina, c'era tutta la città per strada. Ricordo un fiume di macchine e sopra la gente che ci camminava sopra per toccare il pullman». Il peggiore? «La cessione: Allodi andò via e chi venne dopo non mi volle, accettai senza dire nulla. Oggi farei il pazzo». Finì al Verona di Bagnoli e poi alla Fiorentina con Baggio e Dunga. «Bello, ma non era la stessa cosa di giocare a Napoli. Bagnoli mi voleva anche al Genoa ma Lazaroni non volle cedermi, e mi voleva Trapattoni all'Inter. Non lo sapevo ma gli italiani nel mio ruolo scarseggiavano, tanto che poi una prese Branco e l'altra Brehme. Avrei potuto giocare di più». Rimane l'eco del suo gol, e il rumore assordante che lo ha accompagnato in questi anni. Una gioia che si è spalmata nei ricordi dei tifosi del Napoli, man mano che le aspettative calavano e i sogni si stropicciavano. I gol come quelli di Volpecina divenivano i dettagli fragorosi dell'era maradoniana, che continuavano a dire: è possibile, si può fare. Lui l'ha fatto. Al suo gol si arrese la Juventus di Platini. Col suo gol, il Napoli capì che poteva vincere lo scudetto.
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