Universiadi dedicate a Mennea:
«Mio marito e quel mitico record»

Universiadi dedicate a Mennea: «Mio marito e quel mitico record»
di Francesco De Luca
Martedì 2 Luglio 2019, 10:34 - Ultimo agg. 10:38
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«La notizia che le Universiadi siano state dedicate a Pietro non ha potuto che rendermi felice, come accade sempre quando gli viene rivolto un tributo importante». Manuela Olivieri, avvocato, è stata la moglie e la compagna di lavoro (entrambi avvocati) di Pietro Mennea, l'orgoglio d'Italia, il campione di atletica leggera scomparso sei anni fa a cui il governatore della Regione Campania, Vincenzo De Luca, ha voluto dedicare l'evento, nel ricordo di un atleta che vinse anche fuori dal campo con 4 lauree e che proprio alle Universiadi - Città del Messico, 12 settembre 1979 - firmò il record del mondo sui 200 metri, quel 1972 che sarebbe durato 27 anni, fino al 1966 di Michael Johnson. Per impegni di lavoro all'estero, la signora Mennea non potrà essere domani a Napoli, dove è attesa domenica 14 per la cerimonia di chiusura.

 

Pietro e quel record di 40 anni fa, proprio alle Universiadi.
«Mi ha raccontato tanti aneddoti sul primato, tanto voluto e tanto sognato da quando, a 16 anni, si trovò ad assistere in tv alla finale dei 200 metri, vinta da Tommie Smith. Mi raccontò che allora, quel giovane atleta, disse a se stesso: Chissà se un giorno.... E il destino volle che undici anni dopo, sulla stessa pista, Pietro battesse proprio quel record di 11 centesimi. La gara del 79 l'aveva preparata con grande cura ed era andato in Messico proprio con l'intenzione di fare un grande risultato. Alla fine della spedizione aveva abbattuto 12 record tra italiani, europei e appunto mondiale. Era riuscito nell'intento, togliendo il primato a Smith, un atleta che Pietro ha sempre ammirato profondamente per la levatura morale e l'impegno nel sociale, sempre perseguito anche a discapito delle difficoltà che tali posizioni, rivoluzionarie per quei tempi, hanno comportato nella vita di quel grande campione. Pietro mi raccontò che agli inizi degli anni 80 era andato negli Stati Uniti per allenarsi ed ebbe modo di conoscere Tommie, che ancora pagava le conseguenze per quel gesto».
Un gesto carico di significati che restano attuali anche dopo mezzo secolo.
«Per Pietro era proprio quella la forza dello sport, i valori di cui è stato portatore e, in particolare al termine dell'attività agonistica, cercava di diffonderli, soprattutto tra i più giovani. Lo sport, come diceva lui, insegna il rispetto delle regole e dell'avversario, principi di giustizia, perché vince il più bravo e non il più furbo, e insegna a saper affrontare e superare le sconfitte. È quella che Pietro intendeva come responsabilità sociale di un campione: viene preso da esempio, in particolar modo dai più giovani, e per questo deve comportarsi in maniera irreprensibile e trasmettere quei valori».
Cosa resta della grande lezione, non solo sportiva, di Mennea?
«Io, nel mio piccolo, cerco di portare avanti il sogno di Pietro. Credo che sia importante in questo momento storico, in cui i ragazzi appaiono più fragili e spesso privi di riferimenti solidi. Molto spesso mi rendo conto di quanto Pietro sia ancora amato dalle persone, credo perché abbia rappresentato una speranza: lui è stato l'esempio che chiunque, con l'impegno, il sacrificio e la determinazione, ce la può fare. Lo ripeteva sempre: Se ce l'ho fatta io, lo può fare chiunque. Mi fa sempre piacere quando ci sono riconoscimenti e tributi, però devo fare attenzione a chi talvolta tenta di speculare su di lui. Provo un po' di rammarico quando penso che Pietro era con noi fino a ieri, o quasi: non ha ricevuto, secondo me, i giusti riconoscimenti quando ancora c'era».
In che senso?
«Avrebbe potuto offrire tanto, molto di più di quanto ha comunque fatto, con discrezione e senza stare sotto la luce dei riflettori, ma era un uomo assolutamente libero e non condizionabile: questo non sempre è stato apprezzato».
Qual è il significato di una Universiade dedicata a suo marito?
«Ha un significato importante. Quando correva, Pietro studiava di nascosto, perché si pensava che lo studio distogliesse dall'impegno negli allenamenti. In realtà la disciplina dello sport è formativa e aiuta a studiare e, sempre come diceva mio marito, aiuta a vincere nella vita, come era stato per lui. Mi piace ricordare che Pietro, oltre al diploma Isef, aveva conseguito ben 4 lauree. Io con lui condividevo tutto, anche il lavoro, ed era evidente quanto nella vita di tutti i giorni mettesse in pratica quegli insegnamenti che venivano dallo sport, primo tra tutti questo: fissare un obiettivo, raggiungerlo e fissarne un altro. Senza porsi dei limiti e senza mai considerare qualcosa impossibile».
Mennea, un mito mondiale e anche un uomo profondamente meridionale, come rievoca il suo soprannome, la Freccia del Sud. Cosa possono rappresentare le Universiadi per Napoli?
«Questo evento per Napoli e anche per tutto il Sud è un'opportunità e, grazie al rinnovamento degli impianti per la manifestazione, sarà possibile attrarre più giovani alla pratica sportiva, con tutte le conseguenze positive che ciò potrà comportare per la loro formazione».
Qual era il rapporto di Pietro con Napoli?
«Le era legato. Giovanissimo, quando si era appena trasferito a Formia per allenarsi, si era iscritto all'Isef di Napoli, dove si è diplomato. Veniva spesso in città per le lezioni e gli esami e anche dopo ha mantenuto quel legame e quando, aveva l'occasione, si recava qui sempre volentieri».
A trentun anni dal ritiro di Mennea, c'è un atleta che potrebbe ripercorrere il suo glorioso cammino?
«Il confronto che viene naturale è con Filippo Tortu, perché, oltre ad essere un ottimo velocista (ha battuto un anno fa il record italiano sui 100 di Mennea, ndr), è un bravo ragazzo con principi solidi ed è uno studente universitario. E poi c'è il legame di affetto e di amicizia da molti anni con la sua famiglia».
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