Elezioni, finale di partita in Irpinia:
De Mita dice addio al suo feudo

Elezioni, finale di partita in Irpinia: De Mita dice addio al suo feudo
di Generoso Picone
Mercoledì 7 Marzo 2018, 10:06
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Per essere al finale di partita, cioè a quella fase della sfida a scacchi raccontata da Samuel Beckett in cui sul campo ci sono ormai pochi pezzi superstiti e il re non è soltanto la figura da difendere ma anche una dell’attacco, Ciriaco De Mita pare sereno. Certo, sorpreso: come chi pur avendo percepito che qualcosa stava per accadere non si aspettava di misurarlo nelle dimensioni di una sconfitta pesante, pesantissima e per molti versi epocale. Comunque convinto che i giochi non siano chiusi. «Faccio ancora fatica a spiegarmi quanto avvenuto e, poiché ho l'abitudine a capire prima di parlare, voglio riflettere ancora e attendere il corso degli eventi», confessa dalla sua casa di Nusco.

In Irpinia il Movimento Cinque Stelle ha spazzato il terreno come un implacabile Burian politico, conquistando il 47,44 per cento al Senato e il 45,8 alla Camera, portando cinque suoi rappresentanti in Parlamento, lasciando il centrosinistra a oltre 20 punti di distanza e nel centrosinistra battendo nettamente il candidato dell'ex premier, il nipote Giuseppe. Anche a Nusco, dove Ciriaco De Mita è sindaco da 4 anni, il centrosinistra ha ottenuto il 41,99 contro il 33,45 del M5S che però ha stravinto a Sant'Angelo dei Lombardi, Lioni, Ariano Irpino e Grottaminarda.

Un radicale cambio di stagione nella provincia un tempo democristiana con maggioranze bulgare allo scudocrociato, poi popolare, quindi centrista pur con una declinazione di centrodestra, piddina e ora a Cinque Stelle? «Mi torna in mente l'immagine degli anni '60, quelli della rivolta dei giovani. ricorda De Mita Allora la Dc fu punita dal voto dei figli che scelsero di non seguire più i padri. Però il consenso andò ad altri partiti. Adesso?».
 
Adesso Alcide De Gasperi è rimasto solo nella gigantografia del suo comizio avellinese del 1953, quando si rivolse alla piazza invocando gli irpinesi, che riempie la parete nella sala delle riunioni di via Tagliamento, che fu della Dc, della Margherita e ora del Pd, il luogo dei dibattiti e degli scontri di Ciriaco De Mita, Nicola Mancino, Gerardo Bianco, Giuseppe Gargani, Salverino De Vito. Rischia di rimanere un feticcio, il simbolo vuoto di un tempo andato, l'icona di una concezione della politica che pare appartenere a un passato più antico che remoto. «In giro per comizi sono andato io e mio nipote, poi nessun altro. Mai viste elezioni del genere», confessa De Mita. «I partiti? Sono ridotti a reti zonali di consenso che proprio in questa campagna elettorale hanno lasciato la scena ad altri», spiega Ugo Santinelli, sociologo e curatore della ricerca appena uscita su «Volti e gesti del lavoro. Immagini dall'Irpinia». «Hanno lasciato un vuoto che qualcuno dovrà riempire. Il M5S si propone di farlo. Mi chiedo: chi sono oggi loro in Irpinia?», si interroga. «Giovani e non soltanto, scontenti e non soltanto, rancorosi e non soltanto», avverte Franco Festa, narratore e creatore dei gialli del commissario Matarazzo alle prese con delitti e misteri della sua Avellino: «Se il cambio di stagione davvero c'è, questo si registra nell'intero Sud e l'Irpinia non può essere un'eccezione. Una volta questo è stato un laboratorio politico. Oggi si mostra come un paradigma di una situazione generale e omogenea».

In Senato e alla Camera il M5S farà andare un deputato uscente, Carlo Sibilia, un imprenditore, Michele Gubitosa, un'avvocato, Maria Pallini, un docente universitario, Ugo Grassi, l'esponente di un comitato ambientalista, Generoso Maraia. Giovani e non soltanto. Scontenti e non soltanto. Del resto, un movimento di dimensioni elettorali così ampie non può non essere interclassista e transgenerazionale, punto d'incontro di istanze diverse che potranno prevedibilmente nascondere tentativi gattopardeschi ma intanto hanno trovato un elemento di sintesi. «L'urgenza di avere e dare risposte, perché i tempi dell'amministrazione e della politica non sono più quelli delle esigenze della gente», afferma Luigi Fiorentino, a Roma vicesegretario generale della Presidenza del Consiglio, allievo di Sabino Cassese a cui è succeduto nella carica di guida del Centro di ricerca Guido Dorso di Avellino. «Per il Mezzogiorno sono stati annunciati importati progetti e programmi, ma che produrranno effetti sui tempi lunghi. Nel 2020, ha annunciato Andrea Gavosto della Fondazione Agnelli, l'Irpinia avrà il 50 per cento in meno degli studenti rispetto al 2002. Di fronte al pericolo dello spopolamento, le politiche economiche avviate negli ultimi tre anni assumono il significato di un annuncio teorico e vago che non incide sulla vita dei giovani, dei professionisti, degli imprenditori. O si ridisegna il sistema dei servizi o tutto sarà inutile. Chi abiterà l'Irpinia di domani?». «Per poter tradurre le difficoltà in opportunità c'è bisogno di grande senso di responsabilità, non si può buttare via quanto ottenuto finora, ma è impellente intervenire subito sulla ridistribuzione del benessere», aggiunge preoccupato Giuseppe Bruno, presidente di Confindustria Avellino.

L'impressione è che in Irpinia ma, in fondo, nell'intero Meridione e forse anche altrove sia andato in frantumi uno schema sul quale a lungo si era retta la società, una variante in chiave assistenziale del modello dello Stato sociale che garantiva quantomeno un sostegno se non il lavoro, spesso la promessa di un sostegno in cambio di una forma laica di gratitudine, magari esecrabile per Simone Weil che la definiva riconoscenza buona per generare attaccamento e dunque propria dei cani e non degli uomini, ma che qui ha prodotto largo e trasversale consenso: quando la crisi dell'intervento pubblico non ha reso più possibile questo esercizio di scambio lontano dall'invettiva di Guido Dorso quando ribadiva che «il Sud non ha bisogno di carità, ma di giustizia» -, il patto si è rotto e l'area della delusione, dello scontento e del rancore si è gonfiata fino a diventare un'onda montante. «Nell'era post ideologica i cittadini valutano l'offerta politica in base al grado di soddisfazione delle proprie esigenze», sottolinea Fiorentino, mettendo in bella copia un fenomeno che assume connotati più crudi.

Per esempio, nelle zone periferiche di Avellino, tradizionali serbatoi di voti governatici e ora invece piccole banlieue grilline. «Qui le reti zonali dei partiti si sono risparmiate in vista delle prossime elezioni amministrative di maggio: più appetibile la gestione del ciclo dei finanziamenti dei fondi europei che l'indicazione della rappresentanza parlamentare», nota Santinelli. «Qui la vecchia politica ha subìto la condanna più dura», sostiene Carlo Mele, direttore della Caritas diocesana: «La proposta del reddito di cittadinanza ha avuto successo soprattutto nei giovani che non riconoscono le parole dei progetti orientati a un futuro lontano. C'è uno stato di abbandono e precarietà sul quale la politica tradizionale non è più capace di intervenire».

Ad Avellino si voterà per la nuova amministrazione comunale a maggio, in Irpinia torneranno alle urne per i Municipii 103.027 elettori in 21 centri e oltre al capoluogo ci saranno Sant'Angelo dei Lombardi, Forino e Mugnano del Cardinale. A guardare le cifre scaturire domenica da quelle dei turni dell'8 e 9 giugno 1980 e del 13 e 14 maggio 1985, sembra trascorso un millennio: domenica il M5S in città è giunto al 40,56 per cento al Senato e al 39,46 per cento alla Camera; allora la Dc toccò rispettivamente il 50,37 per cento e il 49,3 per cento. In 80 giorni, per quanti miracoli si possano compiere, difficilmente lo scenario si ribalterà. «Dipenderà anche dalle prime risposte che il Movimento Cinque Stelle saprà dare», dice Santinelli. «Del nuovo non si deve aver paura, ma occorre capirlo. è il parere di Festa Può essere addirittura affascinante. Servirebbe la politica».
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