Nba, Warriors-Cavs:
la finale dei soliti noti

Nba, Warriors-Cavs: la finale dei soliti noti
di Gianluca Cordella
Giovedì 31 Maggio 2018, 12:28 - Ultimo agg. 12:29
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Golden State contro Cleveland. Come lo scorso anno e come nei due anni precedenti. L'oligarchia Nba, con ogni probabilità al suo ultimo atto. A meno che un successo nelle Finals - al via questa notte (diretta dalle 3 su Sky Sport 2 e in streaming in chiaro su Skysport.it) - non convinca LeBron James a restare in Ohio. Comunque difficile. E allora la lega più spettacolare del mondo si gode l'ultimo capitolo della tetralogia: chi sarà il Signore degli Anelli lo sapremo, al più tardi nella notte tra il 17 e il 18 giugno.
ANCORA TU
Tutti lo credevano a inizio stagione e poi, puntualmente, è accaduto. Ma rispetto alle precedenti stagioni, la marcia di avvicinamento delle due finaliste è stata più incerta, a tratti zoppicante, in alcuni momenti lontana dalla perfezione ammirata in passato. In regular season quanto nei playoff. Con tante squadre in crescita trascinate da nuovi campioni e con la fisiologica usura delle fuoriserie collaudate spinte a mille per lunghi periodi, Warriors e Cavs sono sembrati terreni, battibili. A Ovest, si sa, la concorrenza è terribile da anni, con realtà come Houston che ormai sono pienamente attrezzate per il titolo. Qualche infortunio di troppo - Curry e Durant su tutti - e l'esplosione dei Rockets di D'Antoni hanno tolto alla squadra di coach Kerr il primo posto nella Western Conference dopo tre anni di dominio. A Est, i Cavs erano andati in finale da primi solo nel 2016. Ma quest'anno ci sono arrivati addirittura da quarti, con una squadra a tratti impresentabile che ha dovuto essere smantellata e ricostruita nelle ultime settimane di mercato. E i playoff non hanno cancellato tutti i dubbi. Qualche amnesia per i Warriors, qualche prestazione sconcertante per i Cavs, che hanno avuto bisogno di gara-7 ben due volte, contro Indiana e Boston.
LARGO ALLE STELLE
Discorsi di squadra, certo. Poi ci sono i campioni che ti risolvono i problemi. E Golden State ne ha tanti, da Steph Curry a Kevin Durant, da Klay Thompson a Draymond Green, che a momenti alterni hanno saputo illuminare durante i blackout di squadra. Quando poi se ne sono accessi due o tre nello stesso momento sono venuti fuori i terzi quarti da 32,75 punti di media che hanno rispedito a casa l'ottima Houston. L'incognita è soprattutto Andre Iguodala, mvp delle Finals 2015, quando con una difesa mostruosa riuscì a contenere LeBron: ha saltato le ultime 4 gare della serie contro i Rockets per un problema al ginocchio e si è visto. In bilico tra la sua presenza e la sua assenza c'è molto del destino di questa sfida. Anche perché, dalla parte opposta, c'è un dio della palla a spicchi che, alla sua 15ª stagione Nba (82 gare su 82 in regular season), sta giocando una delle sue migliori annate in assoluto. Non va lontano dalla realtà chi dice che King James abbia portato Cleveland in finale da solo. Sia per impatto diretto che per leadership e capacità di spingere al meglio compagni che troppe volte in stagione hanno mostrato un lato indolente e approssimativo. Da Kevin Love a Jeff Green, da George Hill a Jr Smith, hanno dato a turno il loro contributo (e quando non lo hanno dato la barca è affondata male). Ma ci è voluta sempre la scintilla di James che, non a caso, sta viaggiando nei playoff con il massimo in carriera alla voce assist (8,8 a partita). Lo ringrazia soprattutto Kyle Korver, il miglior del supporting cast del Prescelto. Contro i Warriors, LeBron avrà la motivazione supplementare del lieto fine: regalare a Cleveland il secondo titolo (il quarto personale), prima di salutarsi ancora per nuove sfide. Sempre con le lacrime, come nel 2010, ma questa volta di gratitudine.
 
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