Diritto di voto che fu attribuito agli arbitri, nel 2004, dalla 'legge Melandrì. Quella delibera non solo è una decisione «contro l'Aia», ma è anche «antidemocratica, perché elimina un diritto di voto acquisito e meritocraticamente riconosciuto. È contraria alla legge ordinaria dello Stato, vedi la Melandri, agli statuti del Coni e della Figc, dove si prevede che la democrazia interna ci sia. Dicono: ma negli ordinamenti di Fifa e Uefa la presenza degli ufficiali di gara non è espressamente prevista. Ma nemmeno espressamente vietata. Appare anacronistico che il Coni, la casa madre dei dilettanti, voglia togliere il voto a 34mila di loro per darlo ai professionisti». L'obiettivo, secondo Nicchi, «è indebolire il peso politico degli arbitri. Questo significa minare la nostra partecipazione, indipendenza e terzietà». «A chi gioverebbe questa decisione - è il suo sfogo - se non alla serie A, che non ci vuole riconoscere questo diritto, come del resto dichiarato dal commissario Malagò? Tutte le altre componenti sono a nostro favore. Mettere le mani sugli arbitri significherebbe che ognuno poi dice la sua: nel modo di designare, nella crescita, nell'organizzazione. Noi siamo bravi perché siamo autonomi,trasparenti, tecnologici».
C'è un rischio di sciopero? «Se un giorno qualcuno arriva al campo e non ci trova l'arbitro non si sorprenda. Io sto facendo il possibile perché questo non avvenga, ma le sezioni non ce la fanno più. Ci costringeranno a rimanere a casa perché i genitori non mandano più i figli al campo per paura delle aggressioni. Si tratta di 11.000 ragazzi che vanno in giro per l'Italia, non esiste solo la Serie A.
L'arbitro è un portatore sano di regole» ha concluso Nicchi.