Il bancario che investì sul calcio e diventò Mister 33: tutto quello che avreste voluto sapere su Sarri

Il bancario che investì sul calcio e diventò Mister 33: tutto quello che avreste voluto sapere su Sarri
di ​Fabrizio Ferrari
Sabato 13 Giugno 2015, 11:12 - Ultimo agg. 11:21
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Maurizio Sarri story. Il nuovo allenatore del Napoli raccontato da Fabrizio Ferrari, direttore di Allenatore.net e collaboratore di varie testate nazionali, il giornalista toscano che lo conosce più di tutti. E che per lui coniò il soprannome Mister 33, dal numero degli schemi provati su palle da fermo. Oggi, la prima puntata.



Quanti tecnici che hanno cominciato ad allenare quest’anno in Seconda categoria pagherebbero per lavorare tra 25 anni in serie A, magari in una squadra che ha vinto qualche scudetto? Quello che all’apparenza potrebbe sembrare un sogno in realtà è una storia vera, di quelle che nascono in una famiglia toscana dove lo sport è vitale quasi quanto respirare. Maurizio Sarri, è figlio di un ex ciclista dilettante, che ha tentato la via del professionismo per un paio di stagioni. Si narra che un giorno Amerigo, questo è il nome del padre di Maurizio, fosse andato in fuga, e i gregari di Fausto Coppi gli avessero intimato: «Oggi lui non ha voglia di stancarsi». La sua risposta non fu cortese e così loro gli fecero terminare la gara in un fossato... Un episodio significativo, per capire il carattere dei Sarri.



Maurizio ha cominciato ad allenare per predisposizione naturale. Aveva 31 anni, e il lavoro nella direzione di un importante Istituto di Credito lo impegnava a tal punto, da non poter dedicare tempo ad allenamenti pomeridiani. Così, la Seconda, era la categoria giusta per continuare a giocare, senza trascurare il lavoro. Poi, la svolta: un giorno un compagno, illuminato da come guidava la squadra in campo (giocava da terzino sinistro), propose alla società di promuoverlo allenatore-giocatore. Lui ci pensò un po’, poi decise che i due ruoli fossero incompatibili, appendendo le scarpette al chiodo.



Fin dall’inizio trasportò nel calcio la meticolosità, qualità che l’aveva portato a far carriera all’interno della Banca Toscana (che in passato aveva investito su di lui, mandandolo a fare esperienza in Inghilterra, Lussemburgo e Svizzera, insomma nei templi della finanza europea). Per esempio: nell’estate del 1991, qualche settimana prima di cominciare il ritiro, si recò spesso con l’amico Mirko nel bosco vicino alla fattoria del Palagio - che ora è di proprietà del cantante inglese Sting - per pianificare la preparazione atletica che avrebbe fatto svolgere alcuni giorni dopo ai suoi giocatori della Faellese (seconda categoria). Questa cura dei particolari gli permise di scalare le varie categorie dilettantistiche a suon di promozioni. Durante il giorno gestiva miliardi, e la sera tentava di dare un equilibrio in campo allo Stia o alla Faellese, al Cavriglia o all’Antella, al Tegoleto o alla Sansovino. Già, la Sansovino (rigorosamente con l’articolo femminile)! Una società di Eccellenza, con ambizioni di serie D, come ce ne possono essere tante. L’inizio non è dei migliori (2 sconfitte nelle prime 3 giornate), ma il prosieguo della stagione sarà una cavalcata, coronata da ben 8 punti di vantaggio sulla prima inseguitrice.



È qui che la vita di Maurizio Sarri avrà una svolta: capisce che la serie D è la porta del professionismo e degli allenamenti serali non sono più sufficienti. Per affrontarla come piace a lui, dovrà prendere una decisione sofferta. Il lavoro ottimamente remunerato in banca, o quel pezzo di cuoio di forma sferica che rotola sull’erba?



Il primo anno cerca di farli coesistere: arriva 6°, ma non sfigura con colleghi come Bruno Giordano, anzi... Nell’estate del 2002 si rende conto che per far meglio sono necessarie 12 ore di lavoro al giorno. Così chiede l’aspettativa e si dedica al calcio. Ho conosciuto Maurizio Sarri, pochi mesi prima che prendesse questa decisione. La sezione Aiac di Arezzo aveva organizzato una serata di aggiornamento per gli iscritti e aveva scelto lui come relatore. La sua Sansovino, neopromossa in serie D dall’Eccellenza, stava mostrando un bel calcio, con una squadra giovanissima ed era la rivelazione del girone F. Due settimane prima a parlare ad allenatori dilettanti e istruttori di giovani calciatori era stato Cosmi, per cui in molti ritenevano di non trovare spunti di riflessione in un allenatore che giocava nella quinto campionato nazionale. Invece, Maurizio Sarri stupì tutti, a cominciare dal presidente Galantini (osservatore dell’Udinese da 26 anni): «Qualche settimana prima l’Udinese mi aveva mandato a visionare la sua Sansovino. Nella relazione che mandai a Gino Pozzo scrissi che il migliore uomo in campo era stato l’allenatore. Così pensai a lui per quella seduta tecnica e non mi deluse, anzi». I presenti pendevano dalle sue labbra. Sembrava quasi che un Rubbia o uno Zichichi stesse parlando a una folla di studenti in Fisica. Io avevo un po’ di esperienza alle spalle (scrivevo da anni sulle pagine di quotidiani nazionali ed ero stato il giornalista più giovane al seguito dell’Italia al mondiale in Francia 1998), però non c’era mai stato un allenatore che mi avesse stregato così.



In estate decisi di seguire i suoi allenamenti e rimasi stupito dall’attenzione maniacale ai particolari, in qualsiasi fase di gioco. La ciliegina sulla torta però furono le palle inattive. Alla fine dell’allenamento veniva dedicato un po’ di tempo agli schemi su calcio d’angolo, sulle punizioni indirette e udite udite anche sui falli laterali. Qualche allenatore esclamerà: «È una cosa che facciamo tutti». In realtà c’era qualcosa di diverso, a tal punto che ogni volta che in partita l’arbitro fischiava una palla inattiva a favore, gli avversari dovevano farsi il segno della croce. Alle punizioni venivano dati dei nomi propri e ai calci d’angolo dei numeri. Ricordo che in una partita il ”Secco” (questo era il suo soprannome da calciatore) urlò lo schema ”Loris” così che il collega avversario cominciò a intimare ai suoi giocatori di marcare Loris. La risposta fu: «Mister, non c’è nessuno che si chiama così nella loro squadra». Neanche a dirlo, lo schema Loris propiziò un gol.



Fu così che una volta che fui chiamato a scrivere un articolo per il Corriere dello Sport-Stadio sulla Sansovino decisi di coniare il soprannome ”Mister 33”, per rendere l’idea del lavoro dedicato a queste situazioni di gioco. Trentatre era un numero facilmente memorizzabile, ma gli schemi erano molti meno. Anche quell’anno la Sansovino stupì: arrivò seconda nel proprio girone di serie D e vinse la Coppa Italia nazionale, a cui avevano partecipato 162 società. Stagione memorabile soprattutto alla luce del fatto che la Sansovino tra quelle 162 aveva la quinta età media più bassa d’Italia. Il risultato acquisiva un valore significativo considerando che le quattro squadre più giovani erano retrocesse...



I quotidiani di tutta Italia, parlavano di ”mister 33”, tanto che fu invitato anche alla Domenica Sportiva, che nel 2002-03 era condotta da Massimo Caputi. Maurizio Sarri, quella domenica, aveva giocato in un campo in erba sintetica e alla domanda su come era stata quell’esperienza rispose con la schiettezza che lo contraddistingue: «Negativa». L’allora presidente della Lega Dilettanti Tavecchio il giorno dopo andò su tutte le furie: «Noi diamo degli aiuti alle società per incentivare la creazione di campi in erba sintetica e un nostro tesserato ci fa questa pubblicità?».



Sarri però era, è e sarà sempre un toscano: genuino. Il presidente della Sangiovannese (società di C2) lo volle fortissimamente. Casprini, era un industriale affermato, e rimase affascinato dagli argomenti di questo signore, vestito sempre di nero, che non faceva in tempo a spengere una sigaretta, che già ne aveva riaccesa un’altra. Sarri, però non aveva un passato da calciatore, per cui non avrebbe avuto la possibilità di allenare in C2. A Casprini però non importava: quello sarebbe stato l’allenatore della sua Sangiovannese. Così gli affiancò un allenatore abilitato, come aveva fatto la Svezia ai mondiali del 2002 con Lagerback e Soderberg. L’escamotage non fu necessario perché qualche settimana dopo, durante il ritiro arrivò la notizia che il settore tecnico di Coverciano aveva concesso a Sarri l’accesso al corso di 2a categoria, come vincitore della Coppa Italia di serie D.



Il leader di quella Sangiovannese era Francesco Baiano, un napoletano doc, che aveva debuttato in serie A nel Napoli di Maradona, mettendosi in luce nel Foggia di Zeman e nella Fiorentina di Ranieri. Ciccio che aveva avuto anche allenatori come Bianchi, Simoni e Radice ne rimase stregato, tanto che nel 2005 quando Sarri firmò per il Pescara lo presentò così: «È uno dei migliori allenatori che ho avuto. Per il lavoro sul campo e per il modo di preparare le partite (con meticolosità e attenzione ai particolari) direi che è unico. Sarri ha bisogno di una società che sposi il suo progetto, che gli affidi un organico competitivo e gli conceda il tempo necessario perché al lavoro seguano i risultati». Lette a distanza di 10 anni, queste parole sembrano essere state profetiche.



Il primo test di Sarri nei professionisti fu subito uno scoglio: la Lucchese che doveva disputare la C1 (quindi una categoria superiore), allenata da Maurizio Viscidi, considerato tuttora come uno dei più grandi conoscitori di tattica. La Sangiovannese vinse agevolmente 2-0, uno dei tanti casi in cui l’allievo supera il maestro. Viscidi, che ora è viceresponsabile delle nazionali giovanili azzurre ricorda così quella partita: «Avevo conosciuto Sarri l’anno prima a Tabiano Terme, dove ero uno dei relatori e lui uno degli auditori in aula. Dalle sue domande notai che era un grande esperto, un conoscitore di calcio e così dopo cena ci confrontammo muovendo le pedine sulla lavagna tattica, tanto che quando il sonno sopraggiunse erano le quattro di mattina. In quella gara di coppa rimasi colpito perché i valdarnesi partiti in ritiro solo da poche settimane, avevano già un’organizzazione di gioco ben precisa». La squadra allenata dal ”Secco” arrivò seconda in campionato e fu promossa in C1. (1/segue)



@FabrizioFERRARI