Disastro azzurro, addio notti magiche: «Calcio da rifondare, ora tutti a casa»

Disastro azzurro, addio notti magiche: «Calcio da rifondare, ora tutti a casa»
di Pietro Treccagnoli
Mercoledì 15 Novembre 2017, 09:37 - Ultimo agg. 10:43
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Hanno fatto più male le lacrime di Gigi Buffon o quelle di Elsa Fornero? L'Italia che dopo 60 anni esce fuori dai Mondiali di calcio o, sei anni fa, la ratifica ufficiale dell'ingresso dell'Italia nella sua più lunga crisi economica dalla quale pare stiamo uscendo? È stato più duro tirare la cinghia o non poter tirare il pallone? Il dramma Nazionale o la crisi internazionale? Sono domande, che, riemergendo da una giornata in cui l'azzurro era scomparso persino dal cielo, tramortito da una coltre di pioggia, restano senza risposta. Anche qui, probabilmente, un triste zero a zero. Ieri, anzi già lunedì notte, non s'è parlato, scritto, postato d'altro. Sebbene i cinguettii di Twitter si strozzavano in gola (a parte quelli degli eretici che non venerano il SuperSantos), sebbene si cercasse di sdrammatizzare rincorrendo la battuta, lo sfottò che strappasse il sorriso amaro, l'hashtag che ha tenuto banco è stato #italiafuoridaimondiali. Il dramma Nazionale dondolava come una corda in casa dell'impiccato.

E chi se lo ricorda più un campionato senza gli azzurri, due volte nella polvere e quattro sull'altare? Così, già al risveglio titoli cubitali sui quotidiani sportivi: «Fine», «Fuori tutti», «Tutti a casa». Catastrofe, Apocalisse. Roba che non si vedeva dall'attacco alle Torri Gemelle di New York, con i siti stranieri a rivoltare il coltello nella piaga, ironizzando e sbeffeggiando. E ancora cascate di «vergogna, scuorno» e autoflagellazioni sfuse. I marcantoni in giallo della Svezia ci hanno sbattuto in faccia le porte della Russia con un catenaccio a undici mandate. Sessant'anni fa furono i nordirlandesi a negarci il biglietto per la Svezia. Sempre la Svezia a smontarci, come una cassettiera dell'Ikea.

Toni e dichiarazioni taglienti e affranti, persino da parte di politici adusi, in occasioni come questa, alla morbidezza, alla carezza o alla fuga per non mettere la faccia sulle figuracce, un mood pervasivo che a confronto la disfatta di Caporetto era una gita sul Piave, un cameratesco picnic. Il ministro dello Sport, Luca Lotti, ha sparato a palle incatenate: «Il calcio va rifondato del tutto. È il momento di scelte che forse negli anni passati non si è avuto il coraggio di prendere». A chi parlava? Al presidente della Federazione Calcio (Figc), Carlo Tavecchio e al ct Giampiero Ventura? «Spetta a loro decidere». Sul vertice della Federazione è stato più netto il presidente del Coni, Giovanni Malagò: «È padrone di assumersi le responsabilità, ma se fossi in lui mi dimetterei». Non ci sono strumenti procedurali per commissariare la Figc e Malagò confida nel buonsenso. Anche per Franco Carraro, ex-presidente della Figc, Tavecchio non è messo bene: «Come si sentirà? Non bene. La sua responsabilità oggettiva è essere il presidente di una federazione che ha fallito l'obiettivo principale». Tuoni, per ora. Con un siparietto del ct in bilico che a una domanda delle «Iene» sul suo probabile addio prima ha risposto sì e poi ha negato. Un giallo come le casacce scandinave. La tempesta, quindi, potrebbe scatenarsi a momenti, perché almeno Tavecchio ha annunciato per oggi la propria sentenza.

È il calcio, bellezza. E non possiamo farci nulla. Fuori dal gotha, dal Grande Gioco, dalle Notti Magiche. In tanti, mettendo in fila un po' di numeri prevedono grandi perdite economiche, temono persino che la debacle peserà sul Pil. Ma quando l'hanno chiesto a Carlo Calenda, ministro dello Sviluppo economico, hanno raccolto solo un «addirittura? No, non credo». Battuta dubbiosa e rassicurante, una punta scettica. Comunque non poteva non finire in politica e c'è finita. Il leghista e neosovranista Matteo Salvini ha colto la palla al balzo e ha tirato in porta: «Troppi stranieri in campo, dalle giovanili alla serie A, e questo è il risultato». Segue l'inequivocabile hashtag: #stopinvasione. Quindi «più spazio ai ragazzi italiani, anche sui campi di calcio»: il refrain per intercettare un malessere, più che ragionare su una possibilità.
 
Il segretario del Pd, Matteo Renzi, non ha aspettato molto per dribblarlo e toglierli la palla, affidandosi ai social: «Ci sono altri leader politici che si sono buttati come sciacalli su questa vicenda a cominciare da Salvini che ha dato la colpa all'immigrazione». E poi ha tirato in porta: «Chi conosce il calcio sa che gli argomenti di Salvini sono ridicoli: gli stranieri stanno in Germania, Francia, Inghilterra, Spagna, ovunque e ancora molti di noi hanno nella mente l'immagine della Francia multietnica campione del mondo nel 1998». Non ha risparmiato la pallonata contro Tavecchio o Ventura, bersagliati come portieri nella lotteria dei calci di rigore: «La serata di ieri impone a tutto il movimento calcistico una riflessione, in primis al presidente Tavecchio e al commissario tecnico Ventura. Non partecipare al Mondiale di Russia è una sberla enorme. Facciamo sì che aiuti tutti a cambiare il calcio in modo radicale».

Nel duello dei due Mattei s'è infilato Roberto Calderoli, leghista pure lui, che ha rievocato una previsione di Renzi: «Durante l'Expo 2015 disse a Putin che l'Italia avrebbe vinto i Mondiali in Russia, con il sottinteso che lui si sarebbe intestato la vittoria da premier. Invece nel 2018 l'Italia non giocherà in Russia e Renzi non sarà il presidente del Consiglio, anzi non lo sarà mai più». Bollando l'uscita renziana come l'ennesima gufata. Insomma si oscilla tra il serio e il goliardico. Gufi e sciacalli, metafore da zoologia dell'amarezza. Via radio, Walter Veltroni, non ha risparmiato i toni apocalittici. «Forse è la più grande catastrofe sportiva italiana degli ultimi 60 anni che non può essere scaricata solo sul commissario tecnico». Non cercate un solo capro espiatorio: «I risultati mancano a livello di nazionale, di club, dell'intero movimento insomma. C'è un problema nel calcio italiano che riguarda la gestione, il movimento. Serve un nuovo presidente, un nuovo allenatore. Dopo Del Piero e Totti c'è un problema di fondo. Manca autorevolezza». La leader di Fratelli d'Italia, Giorgia Meloni, ha mirato in alto: «È un dato drammatico per la credibilità internazionale».

A lutto ovviamente il mondo del calcio. Triste finanche Maradona che, quand'era in campo, come a Napoli con la sua Argentina per Italia90, bocconi indigesti ne ha fatto ingoiare ai tifosi nazionali: «Mi dispiace molto che l'Italia resterà fuori dal Mondiale. Gli italiani hanno sempre dato colore alle coppe del mondo». E non ha esitato a fornire un appropriato giudizio tecnico: «Ho visto la partita e mi è sembrato che l'Italia abbia giocato come voleva la Svezia, per vie centrali e loro hanno due centrali enormi. La concorrenza si fa sempre più dura e difficile. È triste che l'Italia, una grande, una delle nazionali storiche, sia stata lasciata fuori dal Mondiale di Russia». L'ex-ct Sacchi ha sfoderato la sua memoria lunga: «Questa sconfitta non è arrivata improvvisamente, perché veniamo da due Mondiali disastrosi». Per lui neanche Insigne avrebbe potuto fare la differenza: «Non è un giocatore che risolve le situazioni. L'Italia ha un problema culturale: consideriamo individuale quello che invece è uno sport di squadra». A straziare di più i cuori è risuonato il coro dei reduci. Alessandro Altobelli ha allargato l'orizzonte dei penitenti: «Ventura si è preso le responsabilità, ma dopo di lui ci sono anche i giocatori: nel girone abbiamo straperso con la Spagna». Beppe Bergomi ha incalzato: «L'anello debole è diventato l'allenatore, i giocatori si son presi degli alibi».

Tutti con il dito puntato. Resta, alla fine, il sapore tossico del tifoso che dal calcio trae deduzioni per il Paese, quasi fosse una palla di vetro e non di cuoio. Si fatica coinvolgere i millennials. Loro una grande Italia, tra Sudafrica 2010 e Brasile 2014, non la ricordano proprio. Non si riesce a cacciar via il magone di un inverno da passare sapendo che si affronterà un'estate senza l'urlo liberatorio del gol, senza la maledizione insopprimibile per una parata avversaria, senza l'ansia della notte prima della Finale. E così, nella Rete (quella virtuale) è stato inevitabile riaprire il cascione della memoria. Amarcord melodrammatici. A ciascuno il suo Mundial. Per i sessantenni la pietra miliare è Italia-Germania 4-3 a Città del Messico, tacendo del capitombolo con il Brasile di Pelè. Per i cinquantenni, il Santiago Bernabeu di Rossi, Tardelli e Altobelli. E per i trentenni, l'ultimo urlo prima del declino, con Fabio Cannavaro che alza la Coppa a Berlino. Adieu. Tutto sbagliato, tutto da rifare, dopo la sventura di Ventura.