«Italia e Insigne, con 20 giorni di lavoro cambia tutto»

«Italia e Insigne, con 20 giorni di lavoro cambia tutto»
di Pino Taormina
Sabato 23 Settembre 2017, 08:51 - Ultimo agg. 08:55
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La missione del ct Giampiero Ventura è chiara: non solo portare la giovane Italia al Mondiale in Russia ma creare un gruppo che possa arrivare anche oltre. Agli Europei del 2020 e al successivo Mondiale a Doha, nel 2022. Nella lunga intervista rilasciata ieri al Mattino, durante il forum che si è tenuto nella sala Siani, il tecnico ha parlato anche di altro, di tanto altro. Soffermandosi sui temi più caldi, dal Var al gap con la Spagna. E poi ha risposto a domande sul Napoli e sulla lotta per il titolo, su De Laurentiis e Sarri, su Insigne e Jorginho. E in più anche spazio ai ricordi, quelli legati alla sua permanenza sulla panchina del Napoli nel 2004.

Ventura, lei ha sempre detto che allenava per libidine. Si può allenare con libidine anche da commissario tecnico della Nazionale?

«Stanno cercando di abbassarmela. Ma fare il ct è un altro mestiere: abbiamo 48 ore per preparare la partita, non abbiamo la possibilità di avere il contatto quotidiano col campo e con i giocatori. Però bisogna riuscire a rialzarla quella libidine...».

Perché ha detto di sì alla panchina dell’Italia?

«La chiamata è stata un motivo di grande orgoglio: avevo due anni di contratto ancora con il Torino e una buona offerta da una squadra importante. Ho barcollato e alla fine ho detto di sì... Scoprendo che è un pericolo ma stimolante».

Italia-Spagna ha messo in rilievo come la nostra squadra avversaria era composta da giocatori che hanno un palmares di grande livello mentre l’Italia, al di là degli juventini, ha giocatori con scarsa esperienza internazionale. Quanto conta?

«Determina tutto. Quando prendiamo le nazionali più forti, la Francia, la Spagna, la Germania, l’Inghilterra vediamo quanti francesi giocano in Francia, quanti inglesi in Premier... Questo è un motivo di profonda riflessione. Dopo il ko della Spagna le critiche erano legate al fatto che tutti pensavano che noi fossimo più forti della Spagna. L’Under 21 ne ha presi 3, noi ne abbiamo presi 3, la Juve ne ha presi 3: in questo momento c’è un dislivello sia di natura fisica che qualitativa».

 





Come si colma questo gap?

«Abbiamo due strade: aspettiamo 15 anni che nasca un altro Totti o un altro Del Piero o ci mettiamo al lavoro cercando di organizzarci e puntando alla crescita dei giovani».

Il nostro massimo obiettivo era il playoff in queste qualificazioni?

«Non è una colpa se per la prima volta nella storia va ai Mondiali solo la prima del girone e non è una colpa se per la prima volta nella storia non siamo stati testa di serie: se capiti con Spagna o Germania, può succedere che sei costretto ad andare a giocare i playoff. Ma senza farne un dramma. Oggi noi pensiamo a battere la Macedonia ed ovvio che se non andiamo in Russia sarebbe un fallimento. Ma non dimentichiamo quello che abbiamo fatto 11 mesi fa, con un ricambio epocale: a giugno avremo solo quattro “anziani” come Buffon, De Rossi, Chiellini e Barzagli. Poi dopo quei Mondiali avremo una età media bassissima, saremo una squadra piena di giovani».

Cosa non le va giù delle critiche che ha ricevuto?

«Nelle ultime undici partite abbiamo vinto otto volte, pareggiato con Spagna e Germania e ne abbiamo persa una, quella di Madrid, che di colpo ha cancellato tutto quello che era stato fatto. Se stiamo cercando di costruire qualcosa di epocale dobbiamo avere pazienza».

Qual è stato il metodo introdotto da Ventura?

«Sono partito prendendo una Nazionale, quella di Conte, che era la più vecchia degli ultimi 50 anni. Non c’è nulla di offensivo, è un dato di fatto. E allora mi sono documentato perché mi ha sempre stupito l’organizzazione della Germania».

I soliti tedeschi.

«La federazione, dopo il disastro del 2006, ha parlato con i club e ha deciso di pagarli per far fare 1-2 ore di allenamento settimanale alle proprie squadre con il modulo della nazionale. Quindi tutti i giovani, una volta che andavano in nazionale, era come se ci fossero sempre stati».

E lei cosa ha fatto?

«Ci ho provato a fare la stessa cosa. Ho fatto il giro d’Italia degli allenatori e dei presidenti (e non sono riuscito a incontrarne solo due e uno era De Laurentiis che non c’era) spiegando i pro e i contro di questa situazione. E li ho convinti, andando ben oltre le più rosee previsioni».

Quali i pro e i contro?

«Se un giocatore va in Nazionale, il suo valore cresce... Poi è ovvio che agli allenatori si chiede un piccolo sacrificio del loro tempo di allenamento».

I risultati?


«Abbiamo fatto esordire 12 giocatori, abbassato l’età media di 4-5 anni e fatto venire la voglia a tanti calciatori di indossare la maglia azzurra, dando un nuovo senso di appartenenza a questi colori».

È soddisfatto delle ultime prove di Insigne con l’Italia?

«Insigne agli Europei ha giocato poco perché il modulo non richiedeva il suo ruolo. Ora ce l’ha, al di là del fatto che i moduli sono solo dei numeri. Ma a Madrid non ha deluso meno di altri. Perché il problema al Bernabeu è stato sfacciatamente fisico, non solo qualitativo».

Ma sarebbe cambiato qualcosa iniziando il campionato una settimana prima?

«Se solo il Milan e il Napoli negli ultimi anni hanno superato il preliminare Champions qualcosa pure significherà».

Insigne è un punto di riferimento della sua Nazionale?

«Lorenzo ha avuto la maturazione nell’ultimo anno. Ora è un giocatore completo nel suo contesto e con le sue caratteristiche. Poi apro una parentesi: andiamo al Mondiale, facciamo 30 allenamenti tutti assieme per 20 giorni e la prestazione di Insigne sarà di gran lunga superiore a quella che avete visto. Il modulo non c’entra nulla».

Se si rigioca Italia-Spagna in Russia finisce come a Madrid?

«Impossibile. Sono stra-sicuro che andrebbe diversamente. E ho una tale voglia che succeda...».

Jorginho ha dichiarato di essere amareggiato per non essere nella sua Nazionale. Potrebbe trovare spazio?

«Mi piace molto il fatto che lui ci tenga a far parte del gruppo Italia. È una cosa che apprezzo. Con Conte, Insigne non poteva giocare perché il 3-5-2 non richiedeva il suo ruolo. Mi stupisce che tutti si meraviglino, il punto è che noi giochiamo senza metodista. Lui è il migliore interprete di questo ruolo, ma se, come detto, questo ruolo nella mia Nazionale attualmente non c’è, non posso chiamarlo. Solo con Israele ho giocato col 3-5-2, e solo in quel caso c’era il suo ruolo, ma in quel momento avevo la necessità di dare continuità al gruppo».

Cinque giornate di serie A: Napoli e Juve guidano il campionato.

«Mai come quest’anno si sono accorciate le distanze. Il Napoli prima giocava e divertiva ora gioca e vince. E la cosa è diversa. È prioritario vincere, è un passo notevole in avanti. Poi la Juve mi pare che sia partita con un po’ di difficoltà ma come sempre con i risultati dalla sua parte».

Ha ragione Allegri quando dice che basta vincere 1-0?

«Lo dice perché è lui che vince 1-0. Ha ragione quello che arriva primo, anche se in questo momento dal punto di vista spettacolare, la squadra che gioca meglio è il Napoli».

Le piace il Var?

«Meno male che c’è. Come tutte le esperienze all’inizio deve essere metabolizzato: ma mai come in questo momento non c’è una sola polemica su quello che poteva essere fatto e non è stato fatto. Buffon? Non è stato capito, o forse si è spiegato male. Ma anche a lui il Var va bene».

Con il Var avrebbero annullato il gol di Maradona in Messico.

«Ma lui sarebbe rimasto sempre Maradona, anche senza la Mano de Dios».

Meglio il gol di Mertens o di Maradona?

«Dico sempre Diego. Perché Maradona ha fatto tanti gol geniali, come quello con il Verona in cui ancora ti chiedi come gli sia venuto in mente di calciare da metà campo».

Il ct cosa si augura in questo campionato?

«Che i giovani siano messi nelle condizioni di dimostrare il proprio valore. E poi nell’anno del Mondiale se qualche verdetto non arrivasse all’ultima giornata sarebbe meglio...».

Dopo le prime quattro giornate, le ultime cinque hanno fatto solo cinque punti, un record negativo, persino peggio dell’anno scorso. Sarebbe un vantaggio per il calcio italiano e per la Nazionale ridurre il numero delle squadre?

«C’era una volta l’Ascoli di Rozzi e fare punti in casa sua era un’impresa. Prendere 4 o 6 gol, giocare in maniera arrendevole come ho visto fare negli ultimi due anni, non è un bene per il calcio italiano. Giocare in provincia era sempre una battaglia, perdevi lì gli scudetti: se provincia significa il Carpi di Castori, ben venga, se vuol dire arrendersi dopo tre mesi, allora no».

Cosa le è rimasto dei suoi mesi a Napoli?

«Rammarico. Sono pochi quelli che scendono dalla A alla C. A gennaio andai via e iniziò la storia del Napoli: io faccio parte della preistoria, quando ci allenavamo a Varcaturo dove dovevamo anticipare di un’ora gli allenamenti perché le mamme anti-discariche bloccavano le strade. Il rammarico è per quello che poteva essere e non è stato».

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