La promessa del ct Mancini:
«La mia Italia con lo spirito azzurro»

La promessa del ct Mancini: «La mia Italia con lo spirito azzurro»
di Pino Taormina
Venerdì 20 Settembre 2019, 07:00 - Ultimo agg. 10:29
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La pipa di Bearzot, il sigaro di Lippi. Zoff che alza la coppa d'oro, quella stessa coppa nelle mani di Cannavaro a Berlino. Ora c'è finalmente un'Italia che può tornare a sognare dopo la Caporetto del 2018. Con un ct come Roberto Mancini che ha nel dna il successo. «Non possiamo andare all'Europeo non avendo come obiettivo vincerlo. Siamo l'Italia, con la nostra storia, con la nostra tradizione». Ma non solo: è un Mancini a tutto campo che parla di Sarri e Ancelotti, del Napoli e della Champions, di Insigne e Meret. E che fa capire che è solo questione di tempo (poco) per vedere Di Lorenzo in Nazionale.

Mancini, sette vittorie consecutive sulla panchina dell'Italia, come Valcareggi e Trapattoni. Nel mirino c'è il record di Pozzo che risale agli anni 30. Meglio di così?
«Lo speravamo tutti, ne avevamo bisogno anche, visto da dove eravamo partiti. Ma neppure io mi sarei aspettato che tutto questo sarebbe successo così rapidamente, con questa intensità. Ma ora ci abbiamo preso gusto e di sicuro non ci vogliamo fermare».
 
Cosa significa essere il ct in un Paese dove sono tutti ct?
«Vuol dire essere uno dei tanti... con la differenza che io però scelgo (ride, ndr). È normale, è stato sempre così. Il calcio attrae tanti tifosi e tutti pensano di saperne più degli altri ma questo è il bello di questo sport».

Quale la prima cosa che pretende da un giocatore che indossa la maglia della Nazionale?
«La serietà. Ma poi è necessario anche avere qualità».

È stato un vantaggio o uno svantaggio prendere le redini della Nazionale che probabilmente ha toccato il punto più basso della sua storia, forse peggio pure della Corea nel 66?
«Quando ho deciso di accettare non ho pensato a questo. Una generazione era arrivata alla fine, a detta di tutti, e non c'era nessuno che se la voleva prendere questa responsabilità. Pensavano che ci avremmo messo degli anni per risollevarla, invece bastava solo andare a cercare quelli bravi, avere il coraggio di fare giocare i più giovani. Ed è quello che è successo».

Si respira il clima giusto attorno a voi?
«Sì, i giocatori sono felici di venire, si divertono, abbiamo creato un grande gruppo, giocano bene e seguono con entusiasmo la strada della qualità. Che è l'unica strada che porta a qualcosa».

Lei, ed era Roberto Mancini, ha esordito in Nazionale dopo 82 partite e tre stagioni da titolare col Bologna. Non si arriva adesso troppo presto?
«Vero, la Nazionale non è per tutti, per venire qui bisogna avere qualcosa di più rispetto agli altri. Invece, bastano cinque partite di un certo livello e tutti ti dicono che devi già convocarlo. Ma non funziona così. Un conto è voler vedere un calciatore da vicino, un altro è venire con l'Italia. Perché per essere qui devi essere tra i miglior giocatori d'Italia. Oggi, invece, è tutto diverso, ma ci vogliono tante qualità per indossare la maglia azzurra e non basta certo giocare solo cinque partite buone».

La qualificazione è vicina. Ma cosa deve fare l'Italia per poter lottare per il titolo di Euro 2020?
«Siamo messi benissimo nel gruppo, speriamo di qualificarci con la Grecia a Roma, speriamo di avere tanta gente all'Olimpico anche in vista dell'inaugurazione che si giocherà lì. Ma ovvio che abbiamo bisogno di migliorare ancora, siamo solo all'inizio del nostro percorso di crescita che deve continuare di partita in partita. Cose negative da sistemare ce ne sono, ma la strada è quella giusta».

Chi saranno le avversarie a giugno nella lotta al titolo?
«Le classiche: la Francia campione del mondo che è molto giovane, la Spagna e l'Olanda che si stanno ricostruendo, la Germania e il Portogallo».

Vero che non ha preso impegni fino al 12 luglio, giorno della finale?
«Neppure mezzo. Io ci spero. L'obiettivo deve essere questo, poi magari non ce la facciamo ma l'obiettivo non può non essere quello di arrivare primi. Siamo l'Italia, lo dice la nostra storia, lo dicono le coppe del mondo che abbiamo conquistato: non esiste giocare per arrivare secondi».

Che Italia ha adesso?
«Tanti giovani bravi affiancati da alcuni con esperienza perché i giovani hanno bisogno di esperienza che è quella che aiuta ad affrontare i momenti difficili».

Ci sono circa 60 stranieri in serie A che giocano difensori centrali. Difficile il suo mestiere, non c'è dubbio.
«È senza dubbio il momento più basso in termini di presenze percentuali di giocatori italiani nella nostra serie A. Per fortuna di bravi ne servono 20/25. Ma è chiaro che non è semplicissimo...».

Le prime parole di Bearzot a Mancini quali furono?
«Trovai lo spogliatoio dei calciatori che due anni prima avevo visto alla tv, campioni del mondo in Spagna. L'emozione fu gigantesca. Mi accolsero benissimo».

Con Zaniolo e Kean sarà così accogliente?
«Sono ragazzi. Certo. E i ragazzi fanno degli errori. Sì, basta scusarsi, capire l'errore. E andare avanti».

Secondo lei, questo è un Paese dove un giorno la Bertolini, potrebbe diventare ct della nazionale maschile?
«Non lo so. Ma perché no? Se un uomo o una donna hanno qualità, certo che si può fare qualsiasi cosa»

Cosa ha detto la prima giornata di Champions per le italiane?
«La Champions è dura, è una competizione straordinaria ma molto complicata. L'Atalanta è al primo anno e magari farà un po' di fatica ma le altre tre non avranno problemi nel qualificarsi agli ottavi di finale. Anche l'Atalanta può farcela, si giocherà il secondo posto con le altre. Nel suo girone, il Manchester City farà corsa a sé».

L'Inter è a punteggio pieno in Italia ma è costretta al pareggio in casa dallo Slavia Praga: è un caso o significa che l'Europa è di un altro livello?
«Significa che la Champions è diversa. E che pure una squadra che sulla carta sembra abbordabile, a questi livelli, devi sempre affrontarla con tantissima concentrazione».

Sarri con la Juve è sulla strada giusta?
«Quando si cambia allenatore è ovvio che ci voglia del tempo, perché nessuno ha la bacchetta magica. Ma la Juventus è una squadra forte, che ogni anno viene migliorata: non credo che avrà grandi difficoltà».

Perdonato per lo screzio del San Paolo?
«È acqua passata ormai».

Klopp dice che il Napoli può vincere la Champions: esagera o il Napoli ha questa possibilità?
«La Champions è una manifestazione molto strana, dove non conta come ci si qualifica nella fase a gironi ma come si arriva a febbraio, quando inizia la fase a eliminazione diretta. Real e Barcellona non sono quelle di anni fa. Ma se uno pensa che la finale dello scorso anno è stata disputata da Liverpool e Tottenham che all'ultima giornata della fase a gironi erano a un passo dall'eliminazione, dà il senso della particolarità e del fascino della Champions».

Cosa l'ha colpita del Napoli nella gara vinta con il Liverpool?
«Lo spirito offensivo, che è poi quello che voglio anche dalla mia Italia. All'inizio, quando ho visto i giocatori schierati, ho pensato che Carlo potesse avere dei problemi con tutti quegli attaccanti in campo. Invece, non è andata così e ha vinto con merito. È la partita che se fai gol vinci ma se lo prendi perdi. Un duello del coraggio che Carlo ha vinto».

Lei è stato uno dei numero 10 per eccellenza. Il ruolo di Insigne: il modulo in Nazionale lo esalta, quello nel Napoli sembra frenarlo un po'.
«Con l'Italia ha sempre fatto bene. Ma anche nel Napoli è decisivo. Il suo ruolo è esterno di sinistra, è giocatore offensivo e deve cercare di difendere un po' meno per non sprecare energie».

Di Lorenzo era alla prima in Champions ma contro Mané è stato impeccabile.
«Lo conosco. Non a caso l'ho chiamato negli stage a Coverciano dello scorso anno. Non ho bisogno di una partita per capire il suo valore. Ha qualità, è giovane, ha bisogno di fare esperienza a certi livelli ma penso che sarà un futuro giocatore della Nazionale.

L'altro azzurro è Meret: cosa la colpisce di questo ragazzo?
«Se è con noi è perché ha qualità e maturità e queste partite di Champions lo aiutano a crescere velocemente. Poteva venire da noi con qualche mese di anticipo, ma abbiamo preferito lasciarlo nell'Under 21. Dopo l'abbandono di Buffon, si pensava a un vuoto. E invece, in quel ruolo ne abbiamo abbastanza e tutti danno le garanzie che cerchiamo».

Tanti i giovani che stanno crescendo nella Nazionale: a che punto è la ricostruzione del nostro calcio?
«Le squadre di serie A devono avere più italiani. Ma non è una questione mia, ovvero non è per la Nazionale. Serve per creare lo zoccolo duro di ogni formazione, perché loro sanno più degli stranieri come affrontare certe situazioni. Io non credo che sia una cosa normale che le prime 5-6 squadre italiane non abbiano un attaccante italiano. Ne dovrebbero avere ma non ne hanno».

Si dice che il campionato sia una corsa a 3: è anche il suo auspicio in ottica ct?
«Bisogna aspettare, si sono giocate appena tre giornate. Ma tutti gli indizi dicono che sarà così».

Qual è la sua idea per la salvaguardia del calcio italiano?
«Non bisogna prendere stranieri che non valgono giocatori italiani. Bisogna avere coraggio e farli giocare. Bisogna fare come la Roma che secondo me ha fatto buoni investimenti sui ragazzi italiani. Negli anni 80 e 90 quelli che venivano da noi erano di alta qualità, spesso dei veri fuoriclasse che insegnavano anche a quelli più piccoli cosa fare o non fare. Sono questi gli stranieri che devono venire da noi».

Mancini, al San Paolo segnò uno dei gol più belli della sua carriera, nel 91, l'anno dello scudetto della Sampdoria.
«Impossibile da dimenticare. Come gli applausi dei tifosi del Napoli, che si alzarono tutti in piedi per me, nonostante la sconfitta della loro squadra che l'anno prima aveva vinto lo scudetto. Quelle erano sfide belle giocate sempre senza neppure un pezzo di stadio vuoto. E spettacolari, perché c'erano giocatori con grandi tecnica, e tutte ne avevano almeno uno. Se penso di avere avuto la fortuna di giocare contro uno come Maradona, uno dei più forti al mondo di tutti i tempi...».

C'è stato un momento in cui avrebbe potuto essere giocatore o allenatore del Napoli?
«Dopo lo scudetto con la Samp ho avuto un'offerta, ma Mantovani non ne volle sapere».

Lei, Ancelotti, Sarri, Conte avete avuto esperienze in Premier. Che cosa dà quel campionato?
«La Premier è da diverso tempo il miglior campionato del mondo, per le squadre che ci sono, i calciatori che vanno in campo, la qualità del gioco e la velocità. Sicuramente fa capire che la gente vuole divertirsi, cerca lo spettacolo, lì chi va in vantaggio non si difende, non ci pensa neppure: chi fa gol va in attacco correndo anche il rischio di prendere gol. Si fa fatica a spiegare cosa è l'equilibrio, perché proprio non è un concetto che gli appartiene».

Ancelotti, dopo anni all'estero, si stupisce non solo per il razzismo ma anche per la troppa maleducazione che c'è negli stadi italiani. Che ne pensa?
«Che dobbiamo trovare una soluzione, perché negli ultimi 10 anni la situazione è peggiorata e non di poco. Anche quando ero io calciatore capitava qualcosa, ma nulla di simile. Una volta mia madre prestò un ombrello a un tifoso dell'Avellino e mai si sarebbe sognata di vedere quel tifoso minacciare di buttarlo in campo. Ma è nulla rispetto a quello che succede adesso».

Il 12 ottobre l'Italia affronta la Grecia. Ha detto: Voglio l'Olimpico pieno come a Italia 90. Perché quello non fu il suo Mondiale?
«Perché quella era una generazione di giocatori bravi. E nel mio ruolo ce ne erano davvero tanti».

Vialli presidente della Sampdoria?
«Non so come andrà a finire, a Gianluca auguro sempre il meglio: e in ogni caso per quello che ha fatto lui alla Samp sarebbe una bella favola».
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