Morto il boss Francesco Matrone, funerali in forma privata a Scafati

Dopo la latitanza, durata dal 2007 al 2012, fu arrestato e ristretto al carcere duro, per incastrarlo furono impiegati cento carabinieri

L'arresto del boss
L'arresto del boss
di Nicola Sorrentino
Venerdì 6 Ottobre 2023, 07:00 - Ultimo agg. 07:09
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Muore a 76 anni il “boss” di Scafati, Francesco Matrone. Si è spento domenica scorsa a Milano, all’ospedale Santi Paolo e Carlo dove era ricoverato dalla fine di agosto. Aveva lasciato il carcere per un peggioramento delle sue condizioni fisiche, da detenuto, in regime di 41 bis, il carcere duro. I funerali si terranno in forma privata, per disposizione del Questore di Salerno, nel comune di Scafati, nei prossimi giorni.

Negli ultimi procedimenti penali che lo avevano riguardato, con la difesa degli avvocati Armando Vastola e Giuseppe Della Monica, Matrone era stato assolto da accuse come estorsione aggravata dal metodo mafioso e associazione di stampo camorristico. Noto come “Franchino ‘a belva”, Matrone si rese irreperibile dal 14 giugno 2007 quando, sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale con l’obbligo di soggiorno nel comune di residenza, si era dato volontariamente alla latitanza. La sua cattura risale al mese di agosto del 2012: ricercato per diversi reati, tra i quali un duplice omicidio che gli erano valsi due ergastoli

Uno dei due fatti di sangue fu commesso a Sarno, il 23 marzo del 1980: il classico agguato di camorra. Nei particolari, Francesco Matrone figurava quale mandante di quell’omicidio. Da anni il suo nome figurava nell’elenco dei trenta ricercati più pericolosi. Erano stati i carabinieri del Ros a rintracciarlo in una casa rurale ad Acerno, tra i monti Picentini. Si trovava in un’abitazione immersa nella vegetazione. Per il suo arresto furono impiegati oltre cento carabinieri. A capo dell’omonimo clan, agli inizi degli anni ’80, per la Dda Antimafia si era associato, insieme ad un altro boss di Scafati, Pasquale Loreto, alla Nuova Famiglia capeggiata da Carmine Alfieri e Pasquale Galasso, nella lotta alla Nco di Raffaele Cutolo. Dominante nel comune di Scafati, a cavallo degli anni 90 e 2000, l’organizzazione mafiosa registrò poi un declino, grazie alle tante indagini Antimafia che avevano permesso di debellare il clan.

La sua latitanza era stata possibile grazie all’aiuto di più persone, tra le quali un parente. Il carcere duro, in regime di 41 bis, gli era stato confermato anche dalla Corte di Cassazione, che ne aveva ricordato «il ruolo chiave assunto nello sviluppo e nella gestione dell’attività delittuosa del clan camorristico da lui stesso capeggiato, uso alla violenza e al compimento di azioni di estrema ferocia, secondo quanto già giudizialmente accertato».

I giudici richiamarono la necessità di tale regime, anche in virtù dei «contatti che il detenuto avrebbe mantenuto e della sua capacità di mantenere tali collegamenti».

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A fornire ulteriori elementi, in relazione al suo carisma criminale, erano stati nel tempo anche diversi collaboratori di giustizia. Nelle varie relazioni della Dia, gli inquirenti sottolinearono come a Scafati fosse ancora forte la sua influenza, con il richiamo a specifiche indagini sulla criminalità organizzata.

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