Per l'omicidio del 45enne Armando Faucitano, la Corte d'Assise di Salerno ha condannato all'ergastolo il 39enne Carmine Alfano, originario di Torre del Greco con residenza a Scafati. Per i giudici fu lui il mandante ed uno dei due esecutori, coinvolti nel delitto. Il tribunale ha invece assolto Marcello Adini (ritenuto l'altro uomo sullo scooter con Alfano e difeso dal legale Francesco Matrone) e Pasquale Rizzo (difeso dal legale Pasquale Morra), quest'ultimo accusato invece di aver condotto, con l’inganno, la vittima sul luogo del delitto. Per comprendere le motivazioni del collegio sarà necessario attendere novanta giorni. Con il deposito della sentenza, sia le difese che la procura potranno presentare ricorso in appello. I giudici hanno inoltre condannato a 4 anni di reclusione Giovanni Barbato Crocetta.
Il 30enne scafatese rispondeva di riciclaggio. Secondo le accuse avrebbe assemblato e modificato uno scooter Sh - insieme ad altre due moto dello stesso modello e marca rubate da altri a Salerno e Santa Maria la Carità - utilizzato per l'agguato e poi rinvenuto nel Rio Sguazzatoio. I giudici hanno infine assolto Vincenzo Alfano (difeso dal legale Francesco Matrone e fratello di Carmine, inizialmente accusato di aver agevolato la fuga dei due presunti killer), Vincenzo Pisacane e Antonio Matrone (per loro accuse slegate dai fatti principali dell'indagine). Il delitto si consumò il 26 aprile 2015 a Scafati, in piazza Falcone e Borsellino, nella frazione San Pietro. I killer usarono una calibro 9 ed un revolver.
Faucitano era su di una panchina: contro di lui furono esplosi tredici colpi. Secondo il teorema della Dda, il mandante dell'omicidio, oltre che esecutore, fu Carmine Alfano (difeso dai legali Francesco Matrone e Giuseppe Della Monica). La vittima sarebbe stata uccisa per 700 euro, soldi che Faucitano non avrebbe pagato ad Alfano, a loro volta legati ad una partita di cocaina, hashish e marijuana. Una circostanza riferita da più collaboratori di giustizia, sentiti durante la fase preliminare così come per il dibattimento. Il delitto non fu inquadrato solo come una punizione per non aver onorato un debito legato all'acquisto di stupefacenti, bensì anche come un segnale di assoggettamento da lanciare alle consorterie criminali del territorio, oltre che alla cittadinanza tutta.
L'omicidio fu consumato con modalità camorristiche, con l'aggravante del metodo mafioso contestata al 39enne Carmine Alfano, ritenuto vicino al clan Aquino-Annunziata di Boscoreale. La lettura delle motivazioni della Corte d'assise permetterà di ricostruire, al dettaglio, la dinamica di quel brutale omicidio.