Prandelli gioca Napoli-Juventus:
«Mertens no limits, Insigne genio»

Prandelli gioca Napoli-Juventus: «Mertens no limits, Insigne genio»
di Pino Taormina
Giovedì 30 Novembre 2017, 10:29
6 Minuti di Lettura
Sarà una partita. E pure un romanzo di formazione. Chi è? Dove va? Quanto è cresciuto il Napoli? Cesare Prandelli è convinto che domani sera non si deciderà ancora nulla. Perché, ovvio, gli scudetti non li vince, né li perde, nessuno a dicembre. Ma l'ex ct, ora alla corte degli emiri di Dubai, tecnico dell'Al Nasr, è convinto che «sette punti di distacco sarebbero però un duro colpo da digerire per i bianconeri».

Prandelli, nel big match tra azzurri e bianconeri servono più testa o più gambe?
«Più testa: sta tutto lì dentro. E quando c'è un duello tra le migliori, quello che conta è la forza delle proprie idee».

La Juve è più o meno forte rispetto all'anno scorso?
«In questo momento, l'unica verità è che c'è un Napoli stratosferico che fa sembrare tutti più piccoli di quelli che realmente sono».

In cosa è diverso questo Napoli da quello di dodici mesi fa?
«Nella consapevolezza di se stesso. Si guarda allo specchio e si piace. Ma non è solo questo: si piace e ha capito anche essere una squadra vera. La Champions ha forgiato il carattere di questa squadra, le sfide ad alti livelli ne hanno formato una personalità forte: si vede che i giocatori non hanno paura di niente e nessuno».

A Udine non ha brillato però.
«Non solo a Udine. È successo altre volte nel corso di questa stagione. Ma ha vinto. E questo avviene perché sai di essere forte, perché sai che non devi sempre cercare la giocata. Puoi fare le cose semplici e poi con naturalezza attendere il momento che ti consegna la partita. Non è semplice conquistare i tre punti così. È un segno di maturazione enorme».
 
Napoli e Juve in cosa sono diverse?
«Il Napoli è una squadra completamente consapevole del suo gioco, dove ognuno sa cosa fare e cosa non fare, dove tutti conoscono i tempi e dove Sarri studia tutte le varie situazioni. La Juve ha cambiato tanto e questo non ha aiutato Allegri nel lavoro di squadra. Ma è ricca di tanti campioni e questo fa sì che possa sempre fare la partita. Poi è gente che ha giocato le finali di Champions e che quindi non teme le sfide come quelle di domani sera o stadi pieni come sarà certamente il San Paolo».

Domani peserà di più il valore individuale o la predisposizione del gioco?
«Un episodio. Quando c'è questo equilibrio basta una punizione, una rimessa con le mani per far pendere la bilancia da un lato piuttosto che da un altro. La partita è facile da decifrare: da una parte ci sarà un Napoli quadrato, dall'altro una Juventus in cui il singolo in ogni momento può colpire».

L'assenza di Higuain, in questa ottica, potrebbe pesare molto?
«È un catalizzatore. Ed è per questo che può condizionare certe giocate. Paradossalmente, se non gioca lui la Juve può essere più imprevedibile».

È un caso che due delle big della nostra serie A non abbiano padroni in Cina o in America?
«Ben vengano i capitali stranieri, ma non perdiamo i personaggi che hanno fatto la storia del nostro calcio. De Laurentiis e Agnelli sono depositari della nostra cultura, delle nostre tradizioni, conoscono il valore della maglia, il peso e il significato dei loro club».

Dybala diventerà il più forte di tutti?
«I numeri ce li ha. Ma tutto dipende dalle motivazioni che avrà. Se si metterà in testa di poter diventare il numero uno, potrà diventarlo».

Mertens a 28 milioni è l'affare della prossima estate?
«Magari il sogno della prossima estate ma il Napoli non lo farà partire tanto facilmente».

Ma a 30 anni come si fa a diventare un attaccante centrale così forte?
«Perché il belga è un giocatore che non si pone limiti, se si mette nella mani del proprio allenatore, che si fida ciecamente di lui, che non ha nessuna voglia di vivere di rendita».

Il Var sta conquistando quasi tutti. A lei piace?
«Tantissimo. È un mezzo democratico. Un deterrente alla violenza, va bene a tutte le squadre e non solo alle grandi. È un po' come se avessero introdotto un codice etico...».

Questa Inter fa sul serio?
«È arrivato Spalletti che ha sempre lavorato con competenza ovunque. Ha dato il ruolo giusto a certi calciatori, ha dato concetti di gioco importanti. E ha il vantaggio di poter allenare la squadra per tutta la settimana».

È un altro sport come dice Sarri?
«D'altronde fino a due anni fa anche lui faceva un altro sport... Ma alle coppe europee nessuno rinuncia col sorriso».

Pensa che Allegri si sia un po' stufato delle critiche sulla bellezza del suo gioco?
«Ma alla fine è così: chi vince per così tanto tempo, magari diventa pure antipatico. E ognuno cerca un modo per poterlo ferire. Ma uno che ha vinto così tanto è inattaccabile».

Insigne può fare la differenza domani?
«Certo, ormai oltre al genio mette in campo anche la saggezza. Fui il primo a chiamarlo in Nazionale, ovviamente mi fecero a pezzi. Lui, Verratti e Immobile stavano facendo bene nell'Under 21 di Mangia: e non a caso la prossima Italia punterà tutto su di loro. Avevo visto bene».

Con la Juve ha giocato diverse gare al San Paolo?
«L'attesa per la sfida a Maradona era emozionante, lui è stato davvero un genio del pallone. Ma io ho vinto uno scudetto nel 1981 a Napoli, al termine di una corsa straordinaria con gli azzurri e la Roma».

Senta Prandelli, le mancano le beghe del nostro calcio?
«Ah quelle proprio no. Siamo un Paese in cui quando c'è da criticare sono tutti prontissimi».

Da ex ct, ha sentito Ventura in questi giorni?
«Non ne ho avuto il coraggio, immagino quello che ha passato, non è bello essere considerati il colpevole di tutto. Ma lui non è il solo responsabile: c'è un sistema che non funziona da tempo».

Lei però le dimissioni le diede subito dopo l'eliminazione dai mondiali brasiliani...
«E lo rifarei. Ero il responsabile del progetto tecnico e uscendo al primo turno era giusto andare via, senza esitazione. Però in Italia quando qualcuno si assume le proprie responsabilità, pare che salvi tutti gli altri. E così nessuno si è sentito in dovere di fare autocritica. E così si sono persi tre anni...».

Come usciamo da questo tunnel?
«I club devono cominciare a pensare alla Nazionale per 5 minuti al mese. Sembrano pochi, ma non lo sono. Fanno tutte queste riunioni, ma dell'Italia non parlano mai. Io debuttavo a Londra con la Costa D'Avorio e loro organizzavano la finale di Supercoppa in Cina due giorni prima. Però poi fa male non vedere i propri calciatori alla fase finale della coppa del Mondo».

A che modello Italia pensa?
«L'Under 20 è arrivata terza ai Mondiali, la nostra Under 21 in semifinale in Europa, nelle formazioni under 16 e 17 facciamo molto bene. Ecco, come fa Viscidi nonostante i problemi a raggiungere questi risultati? Partiamo da qui. Pensiamo che la colpa sia degli stranieri: piuttosto, perché dopo 4-5 anni che giocano nei nostri vivai non li facciamo diventare italiani, come succede altrove? Le selezioni tedesche sono piene di ragazzini di origini turche, in Svizzera non ne parliamo, così in Francia e in Belgio...».

Cosa lo impedisce?
«Esce il politico di turno e dice: no, solo italiani di nascita. Ma quando siamo italiani? Solo quando c'è da criticare».

Si sta divertendo negli Emirati?
«Sì. La preparazione è diversa, fino a 20 giorni fa con il caldo che c'era neppure ci si poteva allenare. Bisogna bere tanto».

Tra 5 anni a Doha ci sarà il Mondiale...
«Beh, solo in questi mesi si poteva giocare, perché ora siamo tra i 27 e i 30 gradi. Prima era impossibile».

Ma lei tornerebbe sulla panchina dell'Italia?
«Non credo che ci sia la fila per andarci. Dipende da chi prenderà la guida del calcio italiano... ma qui sto bene. E al momento non mi manca nulla».
 
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