Napoli campione, la festa infinita

Dal 30 aprile al 4 giugno, l’esplosione di gioia della città per il terzo scudetto

Festa per lo scudetto a Napoli un anno fa
Festa per lo scudetto a Napoli un anno fa
Francesco De Lucadi Francesco De Luca
Martedì 30 Aprile 2024, 07:00 - Ultimo agg. 19:05
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C’è festa e festa. E quella per il terzo scudetto, di cui ricorre in questi giorni l’anniversario, è stata la più bella anche perché la più lunga. Il prologo nella notte tra il 23 e il 24 aprile, dopo la vittoria sul campo della Juve con il colpo di Jack Raspadori, quando diecimila tifosi scortarono il pullman da Castel Volturno a Capodichino. E poi quella settimana di quattro colori - azzurro, verde, bianco e rosso - che apparivano in ogni angolo di Napoli e di passione che cresceva sempre più. Ora dopo ora. Giorno dopo giorno. Aspettando il derby con la Salernitana, che non diventò la domenica della gloria in quella città suddivisa in “stadi” - ce n’era almeno uno in ogni quartiere, dove si radunavano migliaia di napoletani e non napoletani - perché Dia segnò il gol del pareggio e fece slittare la festa a giovedì 4 maggio. E il fato vuole che, a capo di una stagione assurda in cui Aurelio De Laurentiis ha messo in fila tutti gli errori non fatti nei precedenti 19 anni, lunedì 6 maggio il Napoli giochi a Udine, trovando dall’altra parte del campo Fabio Cannavaro, che avrebbe voluto vincere uno scudetto col Napoli, dopo aver festeggiato il primo a 13 anni da raccattapalle. Non ci saranno migliaia di napoletani, non ci sarà quell’aria di clamorosa attesa. Adesso i ricordi servono a dare speranza per il futuro.

La città squadra 

Fu così che, tra fine aprile e inizio giugno, Napoli diventò una città-squadra, con il popolo abbracciato ai suoi idoli. Osi con la mascherina l’immagine che spopolò dalle bancarelle alle pasticcerie; Kvara che sembrava un super eroe dei fumetti; il perfetto Lobotka, l’insuperabile Kim; l’indistruttibile Di Lorenzo. E poi riserve che tali non erano, a partire dagli attaccanti Raspadori e Simeone, che segnò l’ultimo gol della stagione al Maradona proprio mostrando la maglia di Diego, regalata da Claudia Villafane. Quei ragazzi erano l’immagine della felicità e non soltanto nei giorni della festa. Anche prima, quando Spalletti li convocò e li strinse a sé durante il ritiro di Dimaro, nei giorni in cui si ascoltavano sul campetto di Carciato e nelle stradine della Val di Sole voci di contestazione e a Napoli esponevano striscioni carichi di livore contro la squadra rifondata da De Laurentiis e Giuntoli. Luciano aveva capito che l’impresa era possibile ma a patto che vi fosse la massima compattezza nello spogliatoio. Tutti intorno a quell’uomo che per sei mesi si chiuse in uno stanzino senza finestra, il suo studio a Castel Volturno, e dormì su un lettino, circondato dalle maglie di Maradona. Già, Diego. Presente sugli striscioni dei tifosi e nelle parole di Spalletti. «E poi ci ha messo la mano lui», disse l’allenatore negli spogliatoi di Udine, quando furono a tutti chiare la felicità per aver riportato lo scudetto a Napoli ma anche la decisione di lasciare a fine missione. Quel messaggio, con il saluto alla folla dopo la consegna della Coppa tricolore, non fu rassicurante. Si capì che la bella favola era finita. La “New Era”, come la battezzò De Laurentiis, non è mai cominciata.

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La sfida vinta 

Come negli anni di Maradona, fu vinta una sfida non solo calcistica. Il Napoli ricomparve nell’albo d’oro dopo Juve, Inter e Milan. Riemerse da anni di speranze e illusioni, coltivate con allenatori campioni d’Europa come Benitez e Ancelotti, l’emergente Mazzarri e il maestro Sarri che riportò indietro le lancette del tempo, alla meravigliosa squadra allenata da Vinicio negli anni ‘70. Napoli con centinaia di migliaia di persone che facevano notte nelle piazze diede una lezione di passione e di civiltà, anche perché in quei giorni le strade erano accuratamente sorvegliate. Un perfetto piano di ordine pubblico, apprezzato anche dai turisti che arrivavano da tutta Europa e dal Sudamerica: gli innamorati di Maradona conquistati dal fascino di quella squadra. L’aspetto nuovo del terzo scudetto fu proprio l’invasione della città, tra turisti censiti e non, complessivamente oltre il milione: 170mila per ogni week-end da aprile a giugno, un giro di affari di 18 milioni, secondo le stime di Confesercenti Campania presieduta da Vincenzo Schiavo. Stadio sold out? Ma al turista che diventava tifoso, acquistando maglia e bandiera sulle bancarelle, non interessava. Girava la città felice, perfettamente immerso in una festa che sembrava non avere fine. Si era spezzato quell’incantesimo che dopo l’addio di Maradona aveva “imprigionato” il Napoli, scivolato sempre più giù. La retrocessione in serie B con 14 punti, il fallimento, la serie C, la ricostruzione. Un incubo cancellato dopo trentatré anni. Sembrava che non si potesse più vincere e invece Spalletti e Giuntoli, con De Laurentiis rimasto dietro le quinte, ribaltarono tutto. Da Udine a Udine non è passato soltanto un anno. È cambiato lo stato d’animo di una città, tornata alle incertezze e ai tormenti di un tempo calcistico che sembrava distante, o finito. Arrivando qui tre anni fa, Spalletti trovò una tifoseria depressa e le promise che non avrebbe più sofferto. Le regalò una felicità che è diventata un film, “Sarò con te”, che De Laurentiis presenterà nel prossimo week-end prima della trasferta in Friuli: le immagini e le voci di una favola che diventò finalmente realtà.

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