I primi 60 anni da favola di Ancelotti
e il suo nuovo sogno napoletano

I primi 60 anni da favola di Ancelotti e il suo nuovo sogno napoletano
di Francesco De Luca
Lunedì 10 Giugno 2019, 07:55 - Ultimo agg. 18:41
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La storia di Ancelotti, che compie oggi 60 anni, è un'autentica favola italiana. Da Reggiolo, paese della provincia emiliana, alla gloria mondiale grazie ai successi conquistati da calciatore e da allenatore. D'altra parte, il destino è nel nome, anzi nei nomi: Carlo Michelangelo, re e artista di quel pallone cominciato a toccare, e bene, dalle sue parti, con il gol segnato a 19 anni che valse al Parma la promozione in serie B. Carlo, Mr. Champions per le cinque Coppe conquistate tra campo e panchina, ha scritto sulla sua vita tre libri: «Il leader calmo», «Il mio albero di Natale» e «Preferisco la coppa», dove con ironia - un ingrediente che manca al calcio italiano ma non a lui - ha parlato dei suoi successi e dei suoi drammi, come il doppio infortunio al ginocchio destro ai tempi della Roma che l'obbligò a saltare la finale di Coppa dei Campioni dell'84. Si sarebbe rifatto cinque anni, vincendola con il Milan.

Pochissimi al mondo hanno vinto quanto quest'uomo garbato, che inarca il sopracciglio sinistro se si arrabbia. Il primato delle tre Champions condiviso con Bob Paisley e Zinedine Zidane; quello dello scudetto vinto in quattro differenti Paesi con Tomislav Ivic, Ernst Happel, José Mourinho e Giovanni Trapattoni. I suoi moduli, dall'albero di Natale milanista al 4-4-2 che ha riproposto a Napoli, sono materia di studio per giovani colleghi. Ha allenato i migliori al mondo, compresi sei Palloni d'oro: Shevchenko, Ronaldinho, Cannavaro, Kakà, Cristiano Ronaldo e Modric. È nel cuore delle tifoserie della Roma e del Milan, mentre quella del Napoli deve ancora completamente conquistarla. I primi quattro mesi sono stati brillantissimi, gli ultimi quattro pieni di ombre. In campionato la Juve è rimasta sempre a distanza di sicurezza; all'estero è stata sfiorata l'impresa sul campo del Liverpool che avrebbe poi vinto la Champions e invece zero gol nei quarti di Europa League contro l'Arsenal. Carlo, uomo pragmatico, sa che tutto dipende dai risultati: nel primo anno azzurro è stato riconfermato con merito il secondo posto, però sono stati falliti gli altri obiettivi. Quali saranno i prossimi?
 
L'uomo che ha vissuto da protagonista il calcio italiano, inglese, francese, spagnolo e tedesco ha avuto due grandi maestri di vita e di campo. Il primo è stato Nils Liedholm, il flemmatico Barone che ne è stato l'allenatore a Roma: le sue innovazioni tattiche e il suo spiccato senso di ironia hanno segnato la carriera di quel ragazzo emiliano che sbarcò nella Capitale a 20 anni e venne ribattezzato «Il bimbo». L'altro maestro Arrigo Sacchi, che nel 1987 convinse Silvio Berlusconi, preoccupato per le condizioni fisiche di Carlo, ad acquistarlo dalla Roma per 5,8 miliardi di lire. «Il ginocchio? Se ad Ancelotti funziona il cervello vinciamo tutto». E vinse tutto l'Armata rossonera, partendo dallo scudetto del 1988 ipotecato con la vittoria a Napoli. L'ottimo allievo avrebbe cominciato la carriera da allenatore al fianco del ct Arrigo, vivendo l'esperienza del Mondiale 94 in Usa, perso ai rigori. Da calciatore il Mondiale dell'82, quello del trionfo al Bernabeu, non aveva potuto giocarlo per i problemi al ginocchio, non l'unico tormento della sua carriera.

Carlo Magno, come era stato soprannominato a Madrid dopo la conquista della «Decima» Champions, conosce da sempre l'altra brutta faccia del calcio. Quando arrivò alla Juventus per sostituire Lippi, quei gentiluomini dei tifosi bianconeri urlavano «Un maiale non può allenare» e il triste finale del campionato 1999-2000, con lo scudetto perso nell'acquitrinio di Perugia mentre la Lazio festeggiava all'Olimpico, ha esasperato questo rapporto. Da allenatore azzurro, nello scorso settembre, Ancelotti ha denunciato più i cori razzisti verso Napoli che quelli offensivi nei suoi confronti ascoltati allo Juventus Stadium, aprendo un fronte civile di cui tutti dobbiamo essergli grati. Gli juventini non sono stati gli unici nemici in casa. Da Berlusconi aveva ricevuto bordate ancor prima di quella notte del 2005 a Istanbul, quando il suo Milan - in vantaggio per 3-0 dopo un tempo - perse incredibilmente la Champions nella finale contro il Liverpool di Benitez (si sarebbe rifatto due anni dopo): il Cavaliere gli aveva contestato già un anno prima la mancanza di coraggio tattico. «E io posso parlare perché ne capisco». Nel 2011 il Chelsea e nel 2015 il Real Madrid lo hanno «sollevato dall'incarico» a fine stagione, un modo elegante per definire un esonero, però non fu bruciante come lo schiaffo del Bayern Monaco due anni fa, poche settimane dopo la vittoria della Bundesliga e il brano «I migliori anni della nostra vita» cantato da Carletto a squarciagola a Marienplatz.

Partito da Monaco di Baviera, Ancelotti era tornato a Vancouver, dove si è trasferito con la seconda moglie Mariann, aspettando una squadra, un'idea, un progetto. Voleva l'Italia e la prima proposta era stata quella della Federcalcio commissariata per guidare la Nazionale: distanza economica incolmabile. Poi è spuntato il Napoli. De Laurentiis pensò a quell'uomo vincente e garbato, con una bacheca piena di trofei, mentre il rapporto con Sarri arrivava ai titoli di coda. Il grandissimo nome dopo la rottura con un allenatore bravo e amato dalla tifoseria, era accaduto anche nel 2013, con il passaggio da Mazzarri a Benitez. Contratto di tre anni, sei milioni a stagione, nello staff anche il figlio-vice Davide, il genero-nutrizionista Fulco e il preparatore Mauri junior, figlio dello storico collaboratore di Carlo nonché suo socio in una scuderia di galoppo. Il presidente è felicissimo del sodalizio con quest'uomo «con cui si può parlare di tutto» e «che partecipa attivamente alle scelte della società». Nessun rimprovero dopo le brutte partite nella seconda fase della stagione, nessuna domanda sul calo della squadra, a cui hanno contribuito l'infortunio di Albiol e la cessione di Hamsik, il capitano trasformato in regista che avrebbe dovuto ripercorrere la strada di Pirlo al Milan e che invece a febbraio era su un volo di sola andata per la Cina. Ancelotti, grande comunicatore (2,4 milioni di follower sui social) e perfetto aziendalista, ha confermato ai pochissimi che avessero ancora dubbi che a Napoli non può arrivare un giocatore con lo stipendio da 10 milioni, uno di quelli a cui lui era stato abituato per anni. Adesso prende atto dei paletti di De Laurentiis. «Prima si vende e poi si compra», refrain che si ascolta dai tempi di Reja. Però il tasso qualitativo del Napoli va migliorato, non basta più contare il numero dei giocatori in rosa. Ancelotti, a differenza di Sarri, aveva voluto battere la strada del turnover, però alcuni azzurri - da Diawara a Verdi - si sono progressivamente autoesclusi con deludenti prestazioni. Carlo conferma il feeling con Napoli anche se l'idea di prolungare il contratto per 3 anni è rimasta in stand-by. Saranno respinte offerte per i big, chissà se il discorso vale anche per Insigne, che nella Nazionale di Mancini (con il 4-3-3) ha ritrovato il gol, la brillantezza e il sorriso dopo le amarezze vissute da capitano del Napoli, compresi i fischi al San Paolo: ma questo può bastare per avvicinarsi alla Juve e respingere l'assalto della nuova Inter di Conte? Ancelotti sarà aiutato da una filosofia di vita così riassunta sul suo sito internet: «Due cose ti definiscono: la tua pazienza, quando non hai niente, e la tua attitudine, quando hai tutto». Resta da capire se il Napoli è il secondo scenario o una via di mezzo.
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