Champions, Ancelotti sfida il tabù:
tre anni senza vittorie fuori casa

Champions, Ancelotti sfida il tabù: tre anni senza vittorie fuori casa
di Pino Taormina
Martedì 22 Ottobre 2019, 07:00
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Sembra un paradosso che il re di Coppe guida una squadra che in Champions, in trasferta, non vince da quasi tre anni ovvero dalla match di Lisbona con il Benfica (il 6 dicembre del 2016: 2-1). Dicono tutti: bisogna sfatare il tabù. Come se fosse quello il problema del Napoli in Champions, cioè il fatto che lontano dal San Paolo non fa festa praticamente da otto trasferte ufficiali. Ma quello, che pure attira la curiosità di statistici e tifosi, non è il vero problema: la questione riguarda la ricerca da parte di Ancelotti di un equilibrio che ancora manca, e che il Napoli insegue anche domani a Salisburgo. Ecco, fa un certo effetto pensare che l'uomo delle tre Champions in bacheca, delle 89 gare vinte da allenatore (su 161) debba fare i conti con questa situazione.
 
Carlo non è il tipo che consulta maghi e veggenti, improbabile che spargerà sale sul campo austriaco o chi si raccomanderà agli astri del ciel sperando che l'orrendo tabù crolli: però il bilancio non è proprio da top club lontani dal San Paolo amico: 5 sconfitte e 3 pareggi. In questa successione: Real Madrid-Napoli (3-1 nell'andata degli ottavi 2016-2017); Shakthar Donetsk (2-1 fase a gironi 2017-2018); Manchester City (2-1); Feyenoord (2-1); Stella Rossa (0-0 fase a gironi 2018-2019); Paris St Germain (2-2); Liverpool (1-0); Genk (0-0 fase a gironi 2019-2020). Certo, ci sono risultati negativi e risultati negativi: con il Real, per esempio, il Napoli di Sarri (al netto dello sfogo nel ventre del Bernabeu di De Laurentiis) uscì a testa altissima e sul ko con il Manchester City pesa anche il rigore sbagliato da Mertens; con la Stella Rossa c'è ancora il peso dei due pali e a Parigi il pari di Di Maria arrivò solo in pieno recupero. Insomma, ci sono storie e storia dietro questo cammino pieno di sgambetti in giro per l'Europa. La sconfitta a Rotterdam con il Feyenoord non ebbe alcun tipo di peso perché in caso di vittoria i giochi erano fatti a favore di Shakthar e Manchester City. La più bruciante, senza dubbio, quella con il Liverpool perché costò il pass per gli ottavi di finale. La ferita di Genk brucia ancora, e magari domani il risultato del Liverpool in Belgio chiarirà meglio se si è trattato di una frenata.

Carlo Ancelotti racconta al sito della Uefa: «Il trofeo vinto con il Milan nel 2003 è stato il mio primo, quindi sicuramente il più importante dei tre che ho conquistato. Ho vinto altre due volte, ma la prima ha un sapore speciale, anche perché fu una finale tra due squadre italiane (l'altra era la Juventus, ndr), quando il calcio italiano era al massimo livello. Nel 2014 giocammo una grande Champions League, quel Real Madrid voleva fortemente conquistare La Decima. Per il Napoli la Champions League è una verifica. Il Napoli non ha mai ottenuto grandi risultati in questa manifestazione nella sua storia, quindi per noi rappresenta un test per cercare di fare sempre meglio». Il suo modo per dire che il Napoli non è obbligato a vincere la coppa, come magari la Juventus o il Manchester City o il Barcellona. Ma questo non significa che il cammino potrà essere pieno di gioia. Iniziando sa Salisburgo. «Un allenatore dipende dai suoi giocatori in campo. Può dare delle istruzioni, su ciò che i calciatori possono fare in campo». Infine il ricordo della prima finale, quella da calciatore: «Nel 1984 mi infortunai, ma la Roma raggiunse la finale. Poi il trionfo del 1989, nella finale di Barcellona contro lo Steaua Bucharest. Ricordo tutto. L'atmosfera prima della finale, con 90.000 tifosi del Milan. Poi ricordo le difficoltà della mia seconda finale, contro il Benfica a Vienna. Sono memorie vive. Giocare la finale di Champions League è l'highlight della carriera di qualsiasi calciatore. La Champions League è la competizione più importante del mondo, la più emozionante, anche per via dell'eliminazione diretta».
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