Europa League, e adesso la sorte
ci risparmi il Chelsea di Sarri

Europa League, e adesso la sorte ci risparmi il Chelsea di Sarri
di Marilicia Salvia
Venerdì 15 Marzo 2019, 07:30
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Adesso, Dio del calcio che ci hai graziato evitandoci la quinta palla di Mozart, fai quello che vuoi ma non abbinarci al Chelsea. Sarri no, per favore, non ancora. E non certo perché avremmo dubbi sulla squadra a cui dare il nostro sostegno, non ci sono e non ci saranno mai dubbi su questo, che ci importa di una squadra londinese nella quale peraltro gioca pure l'indimenticato traditore argentino. Mai e poi mai dismetteremmo il nostro cuore azzurro per una qualsiasi maglia blu, mai neanche per un attimo. Ma è che proprio non ci va adesso, in questo preciso e particolare momento, l'idea che il nostro vecchio comandante ci veda nelle nostre attuali piuttosto irritanti condizioni. Un po' come quando rivedi per caso il tuo ex, che se ti becca con i capelli in disordine e qualche chilo in più ti raddoppia il fastidio dell'incontro. E noi così ci sentiamo stasera, disordinati, appesantiti, e anche molto spaesati. Incapaci di festeggiare questo passaggio ai quarti di finale della importante competizione europea alla quale l'anno scorso non era stata poi data tutta questa importanza, e non certo solo dall'allenatore. Ma va bene, basta stare a fare continuamente il confronto con il passato, d'accordo alla fine l'anno scorso non abbiamo vinto niente e invece adesso siamo nei quarti, c'è un'autostrada di successi dritta davanti a noi. Più o meno dritta, almeno.

Ma no, non chiedeteci di festeggiare. Andiamo ai quarti sì, ma ci arriviamo da sconfitti, e neanche di misura. Sconfitti da una squadra che nel nostro campionato non lottererebbe per il vertice, e che ieri aveva fame, più fame di noi: e d'accordo che il gol di Milik ci aveva subito messo in tasca la qualificazione, ma oltre ai calcoli nel pallone conta anche il gusto del gioco, della bella figura, del divertimento, altrimenti che sfizio c'è. Ah no, questa cosa dello spettacolo valeva per quello che stava sulla panchina l'anno scorso, e che infatti è andato a Kiev a darne altri cinque agli ucraini che già a Londra ne avevano subiti tre: ma che sciocchezza, quanta fatica sprecata, invece di pensare a scalare posizioni in campionato, lui che ogni domenica rischia di perdere il posto e chissà perché non lo perde mai.
 
 

Noi invece. Gol di Milik e remi in barca, e a fine partita ci sta pure lo spazio per esultare. Un'esultanza breve, discreta, ma un'esultanza, perché i calcoli li abbiamo fatti bene, il passaggio del turno volevamo e quello abbiamo avuto, il resto non conta. Non conta neanche che gli austriaci siano stati a un passo dall'impresa, non conta quel palo che gli ha detto no, una specie di risarcimento per tutti i pali che abbiamo beccato noi. Non conta che se a Napoli, la settimana scorsa, Meret fosse stato un filino meno bravo ci saremmo ritrovati ai supplementari, e poi chissà. Non conta nulla, perché abbiamo ottenuto il passaggio del turno, e l'anno scorso invece siamo stati noi quelli che si sono dovuti arrendere per un solo gol di differenza, contro il Lipsia sottovalutato al San Paolo. Noi che capito l'errore avevamo fatto l'impossibile nella partita di ritorno, una folle rincorsa sul destino, il cuore inutilmente gettato oltre l'ostacolo.

Tornarono da Lipsia sconfitti gli azzurri, e fuori dall'Europa, un anno fa. Oggi tornano ancora ben dentro l'Europa, ma ugualmente sconfitti. Chi ha voglia di unirsi alla breve esultanza vista a fine gara sulla panchina azzurra a Salisburgo ha tutto il diritto di farlo, anzi fa benissimo. A noi però l'esultanza discreta non piace, a noi tifosi incapaci di fare calcoli piace la gioia vera, piena. Noi non vogliamo vergognarci di esultare. Noi che l'Europa l'abbiamo stupita, noi che siamo tornati dal Parco dei Principi e persino dal crudele Anfield di Liverpool accompagnati da un coro di complimenti e coperti dagli applausi, non riusciamo ad accontentarci dei sorrisi di convenienza di commentatori sportivi in cuor loro contenti del nostro ridimensionamento. Perché non è solo la sconfitta di ieri, è il pareggio con il Sassuolo, è la sconfitta contro la Juve, è un troppo lungo tunnel di risultati dei quali «accontentarci», a impedire al cuore di festeggiare come logica vorrebbe. E d'accordo a Salisburgo non c'era la difesa, mancava l'immancabile Kalidou, come mancò nel pomeriggio sciagurato di Firenze: il fatto è che manca un po' troppo spesso qualcuno o qualcosa, a questo Napoli non più bello e mai abbastanza vincente. Quindi sì, dio del calcio, evitaci il confronto con il Chelsea. Meglio non incontrarlo adesso, il nostro ex: facciamo più avanti, facciamo in finale. Dacci il tempo di rifarci il look, di ricostruirci ancora, come dovremo e sapremo fare. Non farci cadere nella tentazione di pensare che, in fondo, a mancarci è proprio lui.
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