Italia, un altro pari fatale:
Insigne, luci e ombre a San Siro

Italia, un altro pari fatale: Insigne, luci e ombre a San Siro
di Pino Taormina
Domenica 18 Novembre 2018, 09:00 - Ultimo agg. 12:08
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Così il ragazzo col numero dieci ha finalmente brillato. Per un solo tempo, però. Il primo. Ma non ha segnato, questo è un bel problema per un attaccante che in 30 partite con la Nazionale ha segnato appena 4 reti e solo una (con i lillipuziani del Liechtenstein) in una gara ufficiale (non segna dal 27 marzo con l'Inghilterra, sette gare senza gol con l'Italia). Però è una prova schioppettante. E non è solo una faccenda atletica: c'entrano l'allegria ritrovata e la leggerezza mentale. Peccato che non duri per tutto il tempo, però. Ma per 45 minuti quello che fa lo diverte, si vede chiaramente. Le luci a San Siro le accende sempre e solo lui, nella gara con il Portogallo dove Mancini disegna un'Italia elastica sul modello del Napoli, ovvero con Insigne che fa la seconda punta o parte largo nel tridente, un'Italia un po' 4-4-2 e un po' 4-3-3. Tanto che importa, quando c'è Insigne in queste condizioni. Poi anche le ombre, nella ripresa, quando il ritmo cala perché calano i centrocampisti e Insigne nonostante si dia un gran da fare, indietreggiando anche di venti, trenta metri non riesce più a brillare con continuità come nel primo tempo.

Insigne non è l'Italia. E non è neanche il Napoli. Ma è certo che ogni squadra in cui gioca ha capito che occorre finalizzare i propri schemi su di lui. Ecco, contro il Portogallo nessuno ha inciso più di Lorenzo per maturità e geometria. Non è una notte come un'altra, non può esserla: c'è voglia di rivalsa, un anno dopo quell'esclusione con la Svezia che per tutti è alla base della clamorosa eliminazione. Lorenzo strappa applausi a quei tifosi che tirano un sospiro di sollievo: abituati a vederlo sempre con la maglia del Napoli, finalmente possono godere per le sue gesta. E mostra il suo talento smisurato: passaggi filtranti per Immobile, un paio di tiri insidiosi, un vertiginoso tacco a seguire, che era il gesto preferito negli anni 80 da Bruno Giordano, accelerazioni, sprint, tocchi di prima: ecco, Mancini non pensa affatto di passare nella categoria a cui appartiene Ventura, ovvero quello degli autolesionisti e dunque sapendo di avere Insigne in queste condizioni lo lascia fare. E lui non tradisce: corre, detta i tempi, fa sì che tutti gli attaccanti pendano dalle sue labbra. Peccato duri solo per un tempo. Quando poi, Insigne taglia il campo e Barella non riesce a controllare il traversone, si capisce come con Callejon esista un feeling che di certo non può crearsi in pochi allenamenti a Coverciano.
 
A vederlo così, ovvio, Ventura aveva torto. Torto marcio. La sua prestazione è legata a una intuizione di Mancini, ovvero imitare Ancelotti. È anche una questione tattica: se con Carlo gioca in attacco e stop, ovvero dove gli piace di più, perché cambiare le cose? D'altronde, Lorenzo lo merita: non solo per la bravura innata ma per la serietà di atteggiamento, per come ha saputo assorbire i colpi e trasformare ogni esperienza anche negativa, soprattutto se negativa, in ricchezza. Gli accadde quando si sfasciò il ginocchio a Firenze e poi quando un anno fa rimase tristemente in panchina senza poter dare una mano alla sua Italia.

No, nel secondo tempo fa una fatica enorme a mettersi in evidenza. Non c'è il possesso della prima frazione e Insigne fatica a farsi largo nella difesa del Portogallo che ha ormai preso le contromisure. Si piazza spesso persino alle spalle degli attaccanti, ma l'energia ormai è finita. L'Italia fa un altro 0-0. Un anno dopo quell'altro 0-0. Allora non ci qualificammo per i mondiali, stavolta per la final four di Nations League. Roba diversa, certo. In questo caso, in buona compagnia: perché neppure la Germania (e molto probabilmente) la Spagna si sono qualificate.
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