L'assalto al Palazzo della fatina azzurra

di Marilicia Salvia
Domenica 22 Aprile 2018, 11:09
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«Oggi non è che un giorno qualunque di tutti i giorni che verranno. Ma ciò che farai in tutti i giorni che verranno dipenderà da ciò che farai oggi». D'accordo, la strizza è già alle stelle, non è il caso di aggiungere drammaticità a questo appuntamento che aspettiamo dall'inizio del girone di ritorno con un mix ben proporzionato di speranza e di timore. Però Hemingway ha ragione, ci sono giorni che hanno un sapore speciale, giorni che fanno la storia. Se stasera andrà come deve andare, come chiede e sogna non solo Napoli ma tutta quella parte d'Italia che preferisce i colori alle strisce zebrate, se finalmente stasera saremo più bravi, più lucidi e anche più fortunati di loro, da domani in poi niente e nessuno potrà fermare la strepitosa rincorsa azzurra verso il Palazzo. Rincorsa, sì, perché resterà ancora un punto da rosicchiare, tutti sappiamo dove e quando, ma non possiamo dirlo, non ci riguarda adesso. E in ogni caso è un pensiero che non ci rovinerà la festa a cui potremo abbandonarci stasera, se festa sarà: una festa che aspettiamo dal 2009, nove anni, un'eternità, anche se in squadra c'era già Hamsik, l'eterno inossidabile capitano che segnò addirittura due dei tre gol con i quali i non colorati furono alla fine ridotti alla resa.

Stasera Hamsik ci sarà ancora, non sappiamo se per tutta la partita o solo una parte, lui terzo reduce azzurro, con Insigne e Maggio, dell'impresa portata a casa dalla squadra, allora allenata da Mazzarri, che aveva dentro Lavezzi, non ancora Cavani. Così come solo Buffon, dall'altra parte del campo, ha memoria di quella serata, alla quale noi ora ci attacchiamo con tutta la forza dei nostri pensieri per costruire un'ideale staffetta. Non sarà un caso d'altronde che proprio Mazzarri sia adesso a Torino, alla guida della squadra granata tradizionalmente ostile alla cugina. Vero, nove anni fa neanche lo stadio era lo stesso, stasera si gioca (meglio, si lotta) nel pretenzioso Allianz Stadium, lo stadio degli stadi, il gioiello sabaudo costruito per meravigliare e possibilmente mettere in soggezione gli avversari italiani ed europei con relative tifoserie. Poco importa, l'accoglienza sarà sempre quella: un tappeto di bandiere non colorate e un coro ossessivo, cattivo, sprezzante. E vergognoso. «Lavali col fuoco, Vesuvio lavali col fuoco».

Lo sappiamo, lo sanno i pezzi grossi del calcio, lo sanno tutti. Ma nessuno muove un dito. E allora a noi tocca solo far finta di niente. Essere più forti anche degli insulti. Ignorare e rispondere a modo nostro: con la bellezza del calcio giocato, quella bellezza con la quale, per unanime riconoscimento, abbiamo già vinto il campionato. Ecco, se da qualche parte c'è una fatina disposta a realizzare un nostro desiderio, sarebbe in fondo questo, che la squadra di Sarri riesca a esprimere sul prato dei campioni uscenti il suo gioco brillante e sciolto, i suoi schemi chiamati a memoria, le cavalcate, il possesso palla e i tiri a giro e tutto il campionario di fantasia che ci rende unici e speciali, e orgogliosi di esserlo. Insomma che dopo il lungo sonno di marzo, l'ultima mezz'ora vista con l'Udinese abbia davvero segnato il risveglio per ottenere il quale mezza Napoli sarebbe stata pronta organizzare pure riti woodoo. Li dobbiamo conquistare con la bellezza, e subito dopo con la forza: perché non è vero quello che dice Allegri per spaventarci, che noi siamo piccolini e loro grandi e grossi. A parte il fatto che i piccoli sono pure più agili e scappano e non li acchiappi, caro Allegri, guarda che gli uomini-armadio a noi non mancano, e non c'è bisogno che stiamo adesso a ricordarti i loro nomi. 

Piuttosto, se la fatina di cui sopra vola ancora da queste parti, ci aiuti a realizzare un altro desiderio: che la partita si svolga nella massima regolarità. Niente aiutini, niente sviste, in altre parole niente errori arbitrali, specie se decisivi. Gli arbitri sensibili a noi non interessano, non ci interessa che cosa hanno al posto del cuore, basta che siano obiettivi e sereni. Forse qualcuno storcerà il naso, ma bisogna dirlo: la cavalcata del Napoli verso il Palazzo, per usare l'espressione cara ai tifosi sarristi, non fa piacere proprio a tutti. Per essere più precisi, può dare un certo fastidio. L'establishment è in subbuglio, come dimostrano dopo ogni partita certi commenti nei salotti (orientati a nord) delle principali tv. Il Napoli fa simpatia, piace, ma la vittoria finale è un'altra cosa. 

E però noi quella ci vogliamo prendere. Prendendoci per cominciare i tre punti in palio stasera. Tre punti pesantissimi, per noi come per loro: non è un caso che da quelle parti, nella cittadella sportiva di Vinovo, serpeggi non da oggi una punta di nervosismo. L'allenatore in completo frescolana si gioca tutto, senza il campionato arriva a fine stagione al massimo con la Coppa Italia, brutta credenziale per uno che ha a disposizione tutti quei campioni e che può permettersi di dire che stasera potrebbe scendere in campo «con quattro attaccanti». Terrorismo psicologico. Spavalderia di chi sotto sotto teme l'avversario. Noi, invece, che abbiamo l'allenatore in tuta e per arrivare ai «quattro attaccanti» dobbiamo aggiungere un falso nueve e un paio di terzini, più che spavaldi siamo spiritosi. Bluffiamo. Diciamo in giro che da stasera in poi possiamo «solo divertirci».

Andiamo a divertirci allora. Facciamolo come il 22 aprile 1990, precisamente 28 anni fa, quando stravincendo a Bologna il Napoli distaccò il Milan. E mise letteralmente le mani sullo scudetto (ops, insomma: su quella cosa lì).
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