Se la filosofia del «sarrismo»
conquista anche la Treccani

Se la filosofia del «sarrismo» conquista anche la Treccani
di Marilicia Salvia
Venerdì 14 Settembre 2018, 11:00
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E adesso vediamo chi dice ancora che mister Sarri non ha vinto niente. Sì, d'accordo, non è il caso di ricordarci di lui proprio alla vigilia della sfida con la Fiorentina, la squadra contro la quale «abbiamo perso in albergo» - parole sue - uno scudetto praticamente in tasca: ma che volete, l'uomo con la tuta è una specie di supereroe dalle mille risorse, un mirabolante Re Mida che vince anche quando perde.

E così, ottenuta la panchina del Chelsea a dispetto dell'impresa azzurra soltanto sfiorata, Maurizio Re Mida si prende ora una straordinaria rivincita su tutti i miscredenti della grande bellezza applicata al calcio (a cominciare dal pragmatico ma tristissimo Allegri, of course) conquistando nientemeno che gli enciclopedici della Treccani. I quali con un tweet hanno comunicato ieri che la parola «sarrismo» è ufficialmente ammessa tra i neologismi della lingua italiana. Insomma bel gioco, gioco palla a terra, tiki taka estremo, e via via sarreggiando (beh, a questo punto il neologismo lo decliniamo anche noi): tutto quello che abbiamo amato (e in verità cominciamo a rimpiangere) della filosofia dell'allenatore (ex) operaio, oggi ha un crisma che lo farà sopravvivere a tutti i campionati e tutti i vocabolari.

Bella soddisfazione, per lui e per il popolo dei duri e puri che insieme a lui, tra gli stadi e le tastiere, hanno teorizzato la famosa rivoluzione: un Palazzo per lo meno è stato conquistato, vincere non è più l'unica cosa che conta e ora si tratta di completare l'opera (vincere divertendo, l'essenza del credo sarrista) anche se protagonisti e scenari sono intanto radicalmente cambiati. Nell'anno primo del dopo Sarri - lo ricordano su uno dei tanti siti ispirati al profeta i suoi adepti - rivoluzione è per esempio disertare lo stadio contro la politica dei prezzi avviata dal patron De Laurentiis. E così domani pomeriggio saranno poche migliaia - al massimo ventimila, dalle tribune alle curve - i tifosi attesi al San Paolo per sostenere la squadra impegnata in un confronto obiettivamente difficile. Giusta o sbagliata che sia, questa «rivoluzione» - o più banalmente protesta - segna una frattura importante e molto dolorosa tra la tifoseria e la società. Trentacinque euro per una partita che non è neanche di cartello (quanto dovremo pagare allora per vedere la Juve, o il Psg?) rappresentano davvero una cifra elevata per il tifoso della curva; e dichiarazioni di disamore come l'ultima di De Laurentiis, che voleva spostare le partite di Champions al San Nicola di Bari, diciamo che il tifoso medio non si sarebbe aspettato di sentirle pronunciare dal proprio presidente. Sta andando così, invece, e tutto lascia immaginare che non è neanche finita: è amaro che accada nel momento in cui la squadra, passata da Sarri-che-non-vince ad Ancelotti-pigliatutto, potrebbe trovarsi nelle condizioni migliori per il salto di qualità atteso da trent'anni; allarmante che accada in un momento delicato come la ripresa del campionato dopo la pesante sconfitta di Genova.
 
Da Fiorentina-Napoli a Napoli-Fiorentina, la verità è che in cinque mesi per noi tifosi è cambiato il mondo. Ma deve essere una specie di maledizione, dici viola e vedi rosso. Perché cinque mesi dopo, le tensioni sono diverse, ma neanche la rabbia di quella serata storta è scemata di un microgrammo, perché non lo possiamo dimenticare che quella fu l'occasione della vita buttata al vento: certo con la collaborazione della premiata ditta Arbitri&Palazzo, ma lo sappiamo tutti che quella partita non andava persa, anzi doveva a tutti costi essere vinta, perché solo così noi poveri peones avremmo potuto staccare un altro biglietto per il sogno. Quella rabbia, adesso, dobbiamo tirarla fuori e trasformarla in nuovo entusiasmo. Non lasciamo che in giro si dica che a tifare per «questo» Napoli è rimasto più o meno il numero di persone che il 28 aprile scorso, vigilia della trasferta fiorentina, si ritrovò alla Stazione centrale ad agitare un mare di bandiere azzurre: i nostri avevano appena espugnato il fortino bianconero, erano i giorni del delirio e della speranza. Che sia allo stadio o davanti a un maxischermo, domani non ci lasciamo fregare: pretendiamo altri giorni così, siamo finiti sulle enciclopedie e adesso vogliamo albi d'oro da riempire.
 
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