«Così con quei tre gol alla Juve
entrammo nella storia del Napoli»

«Così con quei tre gol alla Juve entrammo nella storia del Napoli»
di Pino Taormina
Mercoledì 17 Aprile 2019, 12:00
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Il signore della Champions domani proverà il miracolo. Un miracolone, ecco. Carletto Ancelotti rivedrà l'Arsenal per tentare un'impresa che a un altro Napoli riuscì. Esattamente 30 anni fa. All'andata dei quarti di finale della Coppa Uefa 1988-1989 gli azzurri persero il derby italiano con la Juventus proprio per 2-0 al Comunale. Al ritorno al San Paolo finì 3-0 per il Napoli. «Il ribaltone si può pensare. Servirebbe una scintilla, una sola» dice l'allenatore di allora, Ottavio Bianchi.

Non sono proprio come gli anni del libro di Dumas, ma serve davvero qualcosa di simile a un romanzo d'appendice per poter riuscire a ribaltare il risultato dell'andata. Non serve la Kriptonite, ma poco ci manca. Ottavio Bianchi e Luciano Moggi di quel Napoli erano l'allenatore e il potente (già allora) direttore generale. Di quella vigilia che portò al ribaltone ricordano ogni cosa. Moggi, però, giura che del nome dell'arbitro, il tedesco orientale Kirschen, non c'è traccia nella sua mente. «Ricordo solo le proteste della Juve subito dopo, ma quella vittoria fu nettissima e meritatissima. E ci spalancò le porte al primo e unico successo europeo del Napoli». Piano, piano, anche Bianchi si scioglie. «Certo che ricordo cosa dissi ai miei giocatori prima di scendere in campo: nulla. Non dissi proprio nulla. Li guardai negli occhi e basta perché so bene che prima di certe gare ogni parola è inutile. Non c'era certo bisogno di caricare Careca o Maradona o Francini, io ai discorsi motivazionali non ho mai creduto: guardai negli occhi i ragazzi e capii che c'erano. A quel punto, mi misi da parte e aspettai di scendere in campo».
 
Sempre fedele al suo arcigno personaggio, Bianchi neppure adesso si toglie quelle vesti da dosso. «Fu una gara in cui sbagliammo pochissimo, ma partimmo dal peggiore risultato possibile perché perdere senza far gol fuori casa è un disastro. Anche perché ti obbliga a non prendere reti nella partita di ritorno. Noi mettemmo in atto il nostro gioco rimanendo concentrati, sapendo che un contropiede ben fatto ci avrebbe potuto far uscire».

La vittoria al 119' non gli regalò emozioni particolari. «Ecco, cosa avevo da festeggiare? Il passaggio del turno? E se poi avessi perso la finale cosa me ne facevo di quella vittoria? Io l'ho sempre pensata così: mi sono regalato un sorriso solo dopo la partita di Stoccarda, neppure dopo aver eliminato il Bayern, non certo dopo la notte con la Juve. Anzi, se proprio volete sapere vi dico cosa feci subito dopo, tornato in albergo: pensai alla gara di campionato nella domenica successiva, se non sbaglio con la Lazio all'Olimpico». Non si sbaglia neppure adesso che sono trascorsi 30 anni.

Luciano Moggi era il direttore generale e lui non rimase certo muto prima di quel Napoli-Juve. Qualcosa la disse: «Attenzione, spiegai con la voce contenuta, le partite durano 180 minuti, i primi 90 li abbiamo persi e male, i secondo li dobbiamo vincere. E se non vinciamo vi faccio il mazzo come un secchio...». Ride, nel ricordarlo. Ma oggi è diverso, secondo lui. «Carlo non è uno che sostanzialmente aggredisce o intimorisce i suoi uomini: prende tutti per il modo migliore per portare avanti il suo progetto. In questo siamo diversi: peraltro non li minacciavo... Usavo le parole di Don Camillo». Moggi appassionato di Fernandel e Gino Cervi e del personaggio di Guareschi, è convinto che l'impresa-bis sia possibile. «Se il Napoli mette il cuore e il carattere può schiantare l'Arsenal al San Paolo. Vedo spesso gli inglesi giocare, lontano dall'Emirates hanno frequentemente rimediato brutte figure. Ma a patto che non scenda in campo il Napoli che ho visto con il Chievo: avrà pure vinto ma con quell'andamento lento al massimo ci canta il ritornello con Tullio De Piscopo, ma certo non le suona all'Arsenal». Moggi è sicuro che il passaggio del turno darebbe al Napoli, in automatico, il ruolo di candidata numero uno alla vittoria dell'Europa League: «Questa coppa per il Napoli è una cosa importante, fondamentale per poter dare un giudizio positivo a questa stagione: troppo presto fuori dai giochi scudetto, l'eliminazione dalla Champions. È un trofeo che serve al pubblico di Napoli che non vede l'ora di tornare a poter dire di essere primo. Come lo era in quegli anni».

L'eroe di quel 15 marzo del 1989 fu un comprimario, un difensore che non era una stella di quel Napoli guidato da Maradona, Careca, Alemao e così via. E se domani succedesse lo stesso? «Chi segna segna... Anche Hysaj o Maksimovic. Quel che conta è avere pazienza», dice ancora Moggi. E Bianchi, che consigli ad Ancelotti non ci pensa affatto di darli, si limita a ricordare la sua ricetta: «Io temevo la voglia di far troppo, di voler chiudere la partita presto e bene, magari per soddisfare subito il pubblico. Quello avrebbe potuto esporci a ostacoli psicologici. L'entusiasmo dei tifosi spesso non è un buon alleato: non è che se non segni nei primi venti minuti, sei fuori. C'è tutto il tempo anche se a noi girò tutto bene. Perché nelle serate perfette ci vuole anche un bel po' di fortuna, che male c'è? Cosa che, per esempio, non avemmo l'anno prima: quando pure dovevamo ribaltare uno 0-2 rimediato all'andata ma non ci riuscimmo solo perché fummo davvero iellati», conclude Bianchi. Il riferimento è alla gara con il Real Madrid, al primo turno della Coppa Campioni della stagione precedente.
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