Napoli, la festa dei mille garibaldini
a Torino: «Diventiamo campioni»

Napoli, la festa dei mille garibaldini a Torino: «Diventiamo campioni»
di Marilicia Salvia
Lunedì 23 Aprile 2018, 00:38 - Ultimo agg. 07:15
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Siamo qui per vincere e abbiamo vinto, è azzurro stasera il cielo di Torino e di tanta, tantissima parte del mondo che ama il pallone. È azzurra la strada che porta allo scudetto, perché stasera abbiamo vinto noi, noi che restiamo l’unica squadra imbattuta in trasferta dell’intero campionato, noi che stasera abbiamo costruito l’ottava meraviglia, l’ottava vittoria a Torino sulla juve in una storia centenaria di delusioni e mortificazioni. Abbiamo vinto e finalmente si sente il grido dei tifosi azzurri, mille ragazzi, uomini, donne, bambini e anziani che piangono, si abbracciano, si guardano e ancora non ci credono. Per tutta la partita sono rimasti nel loro recinto, un piccolo plotone colorato in mezzo a un mare, anzi a un oceano bianco e nero. Mille, come i garibaldini, rimasti all esterno dello Stadium fino a notte, fino a che dai cancelli non è uscito il pullman che riportava verso l’aeroporto i nostri eroi. Mille arrivati da tutta Italia ma non dalla Campania, e poco importa adesso perché la festa ormai è anche e soprattutto li, in Campania, a Napoli. Ma qui i mille hanno visto il miracolo con i loro occhi e davanti agli spogliatoi urlano e chiamano koulibali, cantano e non la smetterebbero più, i tifosi azzurri che per novanta lunghissimi minuti hanno sofferto come non mai, davanti a un predominio evidente, continuo ma che non trovava concretezza.

E dire che era cominciata male, ai cancelli dello Stadium, dove i nostri erano arrivati alla spicciolata e un centinaio, che avevano comprato biglietti emessi nonostante gli acquirenti risiedessero in Campania, hanno dovuto fare marcia indietro, davanti a steward inflessibili per non dire insensibili. Una enorme ingiustizia questa della lotteria della residenza, una lotteria incomprensibile e illogica, come se i buoni e i cattivi si distinguessero dalla carta di identità. Fuori e dentro il catino dello Stadium, intanto, il rito della Juve padrona del calcio si consumava senza risparmio di canti e coreografie. Davvero difficile, per chi non colorato non è, sopportare questa esibizione di mezzi e fantasia. Ma forse la differenza tra noi e loro è tutta qui, e non è una differenza da poco. Piaccia o no è il modello a cui dobbiamo tendere, che anzi dobbiamo pretendere se davvero vogliamo sperare in un salto di qualità che faccia sembrare normale e non eroica ogni impresa degli azzurri.
 

E così comincia questa attesissima sfida, un pulcinella compare sulle teste in curva sud, non si capisce se benaugurante oppure uno sfottò ma per come andrà poi poco importa. Poi cominciano i complimenti: benvenuti in italia ale, scandiscono eloquentemente dagli spalti i tifosi in bianco e nero mentre però i nostri pressano e pressano, e Reina se ne sta solo soletto in questa nostra parte del campo. In tribuna una bella sfilata di vip, non tutti necessariamente bianconeri, per esempio Mario Orfeo, napoletano direttore generale della Rai, e Sergio chiamparino, presidente della regione Piemonte di fede granata. Alla fine del primo tempo il governatore dirà che la partita è un po’ noiosa, diplomatica dichiarazione di non voto. Ci è Luciano Moggi, dg in passato di entrambe le squadre, e Bernardo corradi, vice commissario della lega calcio. C’è cristiana dell Anna, protagonista di Gomorra, la moglie di tonelli Claudia Manzella, che con la sorella Martina posta su Instagram un coro tifoso improvvisato. Poi il prefetto vicario di Torino Paola Siena, napoletana, il prefetto e il questore. C’è Carlo De Benedetti, John Elkann, Andrea Agnelli e non il presidente De Laurentiis, dettaglio non da poco che fa infatti arrabbiare qualche napoletano: perché non è qui, qui mentre ci giochiamo lo scudetto, urla Francesco, napoletano di Imola, all’ingresso del settore ospiti.
  
Già, ci stiamo giocando lo scudetto, partita da togliere il sonno ma che invece va lentamente trasformandosi in una passeggiata di salute, questi non colorati non sembrano così forti, così invincibili. Se non fosse per questa colonna sonora assordante, questo coro continuo che si trasforma in urlo famelico, ogni volta che prendono una palla, che vincono un contrasto, e soprattutto che cadono a terra. Ogni tocco una caduta e un coro sdegnato, manco fosse lesa maestà. Forse anche per questo, per una reazione preventiva, sarri arrivando con la squadra allo stadio aveva alzato il dito medio ai tifosi in bianco e nero che circondavano il pullman. D’accordo non si fa, almeno non secondo il galateo, ma si sa che in amore e in guerra tutto è lecito. 

Fatto sta che nel primo tempo che volgeva alla fine portando con se il ricordo di non più di due brividi, la fatina azzurra sembrava volteggiare con leggerezza nella nostra metà del cielo. Arbitro tendenzialmente insensibile, come da richiesta. E la prevalenza del possesso palla, quei palleggi simili a una danza che per lungo tempo hanno stregato gli avversari e ammutolito i loro scatenati sostenitori. Higuain? Non pervenuto, e questo aggiunge un tocco di soddisfazione in più. Forse con questa vittoria avremo archiviato anche la stagione del rancore, ciao Gonzalo, abbiamo pareggiato i conti, vattene pure per la tua strada, ovunque ti porterà. Arriva persino un gol, poi anche un altro, entrambi irregolari, prova generale della festa che arriverà, dovrà arrivare perché a fare la partita siamo noi. Lo capisce pure uno che di calcio non capisce niente, lo capirà quella fatina. Siamo noi, la squadra operaia che tesse la tela con mille passaggi, a spaccare gli ingranaggi della squadra padrona di mille campionati. Ma niente, il gol non arriva. La ripresa è una strada in salita che sembra non finire mai. Siamo belli, pure troppo, una bellezza sprecata in questo stadio abituato a banalissime ma concrete prove di forza. Belli ma non abbastanza spavaldi e neanche troppo fortunati, e viene il magone a pensare quanto a questa squadra manchi tanto così per raggiungere vette stellari. Stasera la palla non entra, non vuole entrare, più passano i minuti più la percentuale indicata dal bolognese Antonio tende ad abbassarsi. Ma più passano i minuti più ci guadagniamo il rispetto del popolo urlante, che dagli spalti si limita a fischiare e tambureggiare, dimenticando il Vesuvio e le sue catastrofiche eruzioni. A un certo punto vanno sul minimo sindacale, applaudono come ossessi quando la loro squadra riesce a mettere la palla in fallo laterale. Dai non colorati, potete fare di meglio.

Poi finalmente arriva lui, il gigante buono, il nostro straordinario jolly nero che dipinge d’azzurro il cielo di Torino. Arriva a pochi minuti dalla fine, quando in pochi continuavano a crederci e quando il tempo per recuperare, per quelli, è risicatissimo. Arriva quando era giusto arrivasse, in questa squadra senza più goleador ma dove tutti sono pronti a tutto. Si,siamo belli e siamo anche vincenti. E siamo a un punto dalla vetta e a un passo dal sogno. Fuori dal magnifico, perfetto, modernissimo Juventus Stadium il popolo bianconero si è disperso in fretta, un po’ intronato per la seconda inaspettata botta dopo la champions, il popolo azzurro canta scatenato. Senza più remore canta juve m... si, quella cosa lì. Sui social qualcuno scherza : Insensibouly. A Napoli volano i caroselli e i fuochi d’artificio , si improvvisano comitive per raggiungere capodichino, e accogliere i nostri eroi come meritano. È solo l’inizio
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