Napoli, ecco perché questa squadra
è diventata pura filosofia kantiana

Napoli, ecco perché questa squadra è diventata pura filosofia kantiana
di Anna Trieste
Mercoledì 7 Novembre 2018, 07:30
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Come tutte le cose, anche le partite di pallone possono e anzi devono, in taluni casi, divenire oggetto di un'analisi che vada al di là delle semplici jastemme per il numero di gol non segnati da Insigne, Mertens e Callejon per via delle altrettante parate messe a segno dal portiere avversario, specie quando quest'ultimo è uno juventino mascherato da bohemien come Gianluigi Buffon. E volendo trovare una ragione un po' più alta al pareggio portato ieri a casa dal Napoli è evidente che l'unico soccorso speculativo può arrivare da Kant e dalla sua critica del Giudizio. So che può sembrare una strunzat ma non lo è. Seguitemi.
 
 

Nella sua opera ingiustamente meno nota, il pensatore tedesco chiariva le caratteristiche della bellezza. E non si esagera se si afferma che se avesse visto il Napoli ieri, soprattutto nel secondo tempo, o scienziat avrebbe formulato meglio il suo pensiero. Guardando il tackle imperiale con cui Koulibaly ha neutralizzato Mbappé, infatti, col cazz che Kant avrebbe detto che il bello è un fatto soggettivo. E se è assai probabile che osservando le scorribande su e giù per la fascia destra di Callejon avrebbe mantenuto intatto il concetto di bellezza e quantità, è prevedibile invece che mirando il rigore messo a segno con tecnica impeccabile da Insigne avrebbe trovato un esempio perfetto per la sua idea di qualità. Osservando infine attentamente quell'esemplare di Homo Ringhians che è Allan, avrebbe cambiato idea sul concetto di sublime. Sublime non sarebbe stato, come diceva lui, qualcosa che si sente nell'animo dopo un momento di sconforto ma i giri forsennati da piranha attorno a Di Maria, i tunnel sfacciati in mezzo alle cosce di Neymar, gli occhi piantati negli occhi di Verratti. Quello è sublime. E nessun pareggio può sminuirne il valore, ok?
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