Benevento, vaccini anti Covid: la copertura nel Sannio è ai minimi

Nel Sannio adesioni sempre più scarse nonostante il virus resti una minaccia

Medici in corsia
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di Luella De Ciampis
Giovedì 9 Maggio 2024, 00:00 - Ultimo agg. 08:55
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Scarsa l’adesione alla vaccinazione contro il Covid-19 nel Sannio dopo la fine della pandemia. Nel 2023, poco meno dell’8% della popolazione ha continuato a vaccinarsi per cui non è stata raggiunta nemmeno la media nazionale del 13%, che ha fatto guadagnare all’Italia la maglia nera per la copertura vaccinale. Eppure il virus continua a circolare e a rappresentare una grave minaccia per i più fragili.

Secondo i dati resi noti dall’Istituto superiore della sanità, nell’ultimo inverno, in Italia, sono stati registrati 10.000 decessi e 82.000 ricoveri che hanno interessato soprattutto anziani, malati cronici e immunodepressi, nella maggior parte dei casi non vaccinati. Sull’intero territorio nazionale sono state infatti somministrate poco più di 2 milioni di dosi in totale. Una cifra che ha disatteso gli obiettivi fissati dal Ministero della Salute e che, con molta probabilità, non è destinata ad aumentare in futuro. In pratica, secondo gli esperti, la vaccinazione di contrasto al Covid dovrebbe seguire lo stesso iter del vaccino antinfluenzale, che viene somministrato ogni anno in autunno dai medici di base ai pazienti che hanno superato la soglia dei 65 anni e che hanno patologie e comorbilità pregresse e croniche.

Nel 2023, in provincia, nel periodo di Natale si registrò un’incidenza altissima di Covid e di influenza, che viaggiano su binari paralleli.

I medici di famiglia avevano riferito di aver lavorato 24 ore al giorno per cercare di tenere sotto controllo la situazione, che non era mai stata così critica neanche nel periodo peggiore della pandemia. L’influenza si era manifestata con febbre altissima, con difficoltà respiratorie e disturbi intestinali. In quella fase, molti assistiti, che avevano già fatto il vaccino antinfluenzale, avevano chiesto di fare anche quello di contrasto al Covid e l’Asl aveva riattivato il centro vaccinale in via Mascellaro. Tra Natale e Capodanno la circolazione congiunta della sindrome influenzale e del Covid aveva raggiunto il picco massimo, che fece aumentare anche i ricoveri in ospedale per casi di polmonite. Tuttavia, quella che fu denominata «la tempesta perfetta» si stemperò nell’arco di poche settimane, senza gravi conseguenze per la popolazione. Anzi, i sintomi del Covid furono di gran lunga meno severi di quelli dell’influenza stagionale.

Scampato il pericolo, la campagna vaccinale promossa dall’Asl si bloccò quasi subito, perché la popolazione è ormai poco disponibile a vaccinarsi, molto spesso per paura di reazioni sicuramente passeggere ma fastidiose che si sono manifestate in seguito alle somministrazioni delle dosi. Attualmente, l’azienda anglo-svedese produttrice dell’Astrazeneca ha appena comunicato l’intenzione di avviare un processo di ritiro globale del vaccino, ormai poco richiesto e non più aggiornato, per sostituirlo con un nuovo vaccino a mRna. Le società italiane di medicina preventiva e di malattie infettive e tropicali hanno redatto un documento congiunto per favorire una più ampia copertura vaccinale nella prossima stagione. Tra le proposte, quella della messa a punto di vaccini diversi in grado di rispondere alle esigenze vaccinali di diverse categorie di cittadini per consentire agli operatori sanitari di scegliere il prodotto più adatto alle condizioni di salute del paziente. In pratica, avendo a disposizione tutto il tempo necessario per testare i preparati e renderli efficaci ma meno impattanti sulla salute dei pazienti, le aziende produttrici possono perfezionare i vaccini e adeguarli alle diverse categorie di popolazione.

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Secondo gli esperti non bisogna abbassare la guardia, perché il rischio di una recrudescenza della malattia è concreto e non si può farla passare come una forma virale simile a una normale influenza stagionale, in quanto non lo è.

Né bisogna sottovalutare gli effetti del long Covid che possono durare molto più dei due mesi previsti, anche quando l’infezione ha un decorso lieve e benigno. La tendenza, ormai generalizzata, a non vaccinarsi, è considerato un atteggiamento che espone i più fragili al rischio di ricovero e alla prospettiva di un decesso per complicanze gravi.

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