Vitaliano Trevisan, una trilogia per salvarlo dall'oblio

«La mente di Vitaliano era un groviglio di tensioni irrisolte, una specie di macchina che non smetteva mai di lavorare, o meglio di reagire alla pressione del mondo»

Vitaliano Trevisan
Vitaliano Trevisan
di Felice Piemontese
Giovedì 25 Aprile 2024, 08:33 - Ultimo agg. 17:08
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È più che apprezzabile l'idea della Einaudi di pubblicare in un solo volume, con il titolo Trilogia di Thomas, tre «romanzi-non romanzi» di Vitaliano Trevisan, omaggio postumo allo scrittore vicentino, scomparso suicida, sessantaduenne, due anni fa. Si tratta, infatti, di una delle poche autentiche novità sulla scena letteraria degli ultimi trent'anni, ed è giusto fare il possibile per salvarlo dall'oblio. Come la casa editrice aveva già fatto con l'edizione ampliata di «Works»

È cominciata con un equivoco la carriera letteraria di Trevisan (che troverebbe ripugnante sentir parlare di carriera): che lo scrittore fosse un imitatore o al massimo un epigono di Thomas Bernhard.

Cosa che può essere anche vera, in qualche misura, ma non rende giustizia a Trevisan che di cose da dire ne aveva fin troppe. Aspettava di trovare il modo per dirle e lo ha trovato nel momento in cui l'opera di Bernhard è arrivata in Italia. È un processo abbastanza frequente nell'ambito letterario, dove si è tutti figli di qualcuno senza che per questo si gridi al plagio o all'imitazione. 

«La mente di Vitaliano Trevisan era un groviglio di tensioni irrisolte, una specie di macchina che non smetteva mai di lavorare, o meglio di reagire alla pressione del mondo», così scrive Emanuele Trevi in una illuminante postfazione al volume einaudiano.

Traumi infantili, insospettabili insofferenze, lo spettro della follia, la consapevolezza di vivere in un paese ormai destinato a decadere, reso ottuso dal benessere, dalla trasformazione dei cittadini in consumatori; sono questi alcuni dei nodi irrisolti che agitano Trevisan e lo determinano come personaggio in perenne dissidio con il mondo.

Tanto più se si considera la realtà nella quale è stato condannato a vivere: lo «schifo cattolico democratico artigiano industriale» (il Veneto dei capannoni, per intenderci), il «disgustoso buco di provincia, pieno solo di persone ottuse pericolose e pericolosamente malvagie», il «cosiddetto popolo» che è diventato «un ripugnante popolo piccolo borghese, infastidito da tutto ciò che è testa e spirito e dunque nemico della testa e dello spirito».

Unica possibile salvezza: la letteratura, specialmente nel momento in cui, grazie a Bernhard, si è trovata una forma, un modo per dire ciò che si ha dentro. Monologo interiore, ripetizioni ossessive, reiterazioni, mai un a capo, flusso ininterrotto di pensieri, soliloquio, queste alcune delle caratteristiche della prosa di Trevisan, che non rinuncia a creare personaggi e situazioni narrative proponendole come autobiografiche.

Abbiamo così un delitto, una scomparsa, un bambino che muore in un incidente, la coazione a ripetere del Thomas de I quindicimila passi, paranoicamente impegnato a contare i passi che separano la sua abitazione dal tabaccaio, dal municipio, dal negozio di generi alimentari, dal notaio Strazzabosco (una semplice app oggi lo metterebbe in crisi).

Il primo romanzo della trilogia, Un mondo meraviglioso, è del 1997. Il secondo, I quindicimila passi, è apparso nel 2002, il terzo, Il ponte, nel 2007. Trevisan ha avuto anche esperienze cinematografiche, attore protagonista nel film di Matteo Garrone «Primo amore». 

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