Dieci ottimi motivi per tifare Benevento

di Marco Ciriello
Martedì 6 Giugno 2017, 23:55
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Prima o poi, i sociologi italiani studieranno la capacità tutta calcistica di far apparire città dimenticate, pescarle nei pozzi della storia e sfoderarle come colombe nelle mani di un mago. Due campionati di calcio, uno in C e uno in B, ed ecco riapparire dal passato, smarcarci da vescovi e chiese, mettere in fuorigioco il liquore Strega, il Benevento calcio.


Lasciati alle spalle i polverosi e tristi anni sui campi di provincia, tra le ambiguità degli stadi di periferia, e misurata in lungo e in largo l’amarezza di rimanere sempre a un punto dal calcio che conta, eccolo con un piede in A. E mentre intravede i vapori delle grandi squadre, del calcio sovrano, parte in contemporanea la riscossa sociale della provincia, che solo il calcio sa dare. La promessa di una terra migliore dove giocare e magari esultare, e dare l’inimmaginabile contributo pallonaro: mettendo il muso a San Siro, all’Olimpico, affrontando la Juventus e giocando un anomalo derby col Napoli (manca un derby campano dall’98 quando c’era la Salernitana e prima ’88 con l’Avellino)


. Ci fosse un Nick Hornby a Benevento, stilerebbe una lista di dieci motivi per tifare domani sera contro il Carpi, saltando dalla Championship alla Premier League (eh sì, gli inglesi ci fregano con la lingua proprio come gli americani che raccontava Francesco Guccini, che tra l’altro allenò il Pavana), prima di scrivere un Febbre a 90° beneventano. Quindi vediamo di mettere giù questa lista onestamente bilanciando quello che c’è con quello che verrà: 1) Intanto il salto doppio di categoria come una trapezista bulgara, o un grillo, o anche solo una squadra con molta fame. 2) Una sorta di Leicester di provincia che gioca conoscendo le dieci regole di Manlio Scopigno: prima non prenderle, seconda non prenderle, terza non prenderle, devo continuare? 3) L’incommensurabile tributo alla sostanza calcistica, una Napoli in piccolo, che si anima e che in questi due anni ha misurato tutto su un campo di calcio. 4) La cellula che da Oreste Vigorito – un presidente che riesce a tenere insieme lo sperpero alla Moratti e l’esuberanza padronale alla Zamparini: lascia e prende la squadra, rimanendo comunque, una ubiquità societaria che replica quella di Padre Pio che è nato in provincia – arriva al sindaco Mastella capace di capitalizzare anche il campionato di serie B come un successo della sua amministrazione.
Miracoli del realismo politico magico, nessuno più degli ex Dc ha saputo usare i romanzi di Gabriel Garcia Marquez (forse senza averli letti tutti). 5) Era la squadra di Carmelo Imbriani, aveva preso ad allenarla quando cominciò la sua malattia. 6) È la squadra di Marco Baroni, che segnò alla Lazio il gol che diede il secondo scudetto al Napoli. 7) È la provincia meno nota della Campania, che per una volta e poi per tutto l’anno dell’eventuale campionato di A, avrà finalmente spazio, entrando finalmente nella storia contemporanea. 8) Ha avuto un percorso da Parigi-Dakar del pallone, in Lega Pro, una ostilità tenace da parte della Dea Eupalla che comprendeva penalità da Monopoli e sfortuna da Paperino. 9) Potrebbe diventare un ottimo campo di addestramento per i talenti del Napoli. 10) La squadra non è mai stata in A, e questa è una gioia che non si può negare a nessuna città. Poi si sceglierà il profilo migliore per starci, cercando di rimanerci più a lungo possibile. Ma una presenza nel calcio che conta se l’è meritata per lo spirito da meccanico applicato al calcio, quello di monta e smonta motori che gira nella pista giusta alla velocità dei grandi.
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