«Foxcatcher», il lottatore e il miliardario: un incubo americano

«Foxcatcher», il lottatore e il miliardario: un incubo americano
di Fabio Ferzetti
Sabato 14 Marzo 2015, 21:04 - Ultimo agg. 22:03
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Se credete che festival e Oscar decidano il valore reale di un’opera date un’occhiata al poderoso “Foxcatcher”. Terzo film del 48enne Bennett Miller dopo il magnifico “Capote” con Philip Seymour Hoffman e quel sottovalutato ma geniale film sul baseball che era “L’arte di vincere/Moneyball”.



In concorso a Cannes 2014, “Foxcatcher” tornò a casa con un onorevole premio per la regia ma niente di più. Candidato a 5 Oscar, è rimasto addirittura a bocca asciutta. Eppure, con il suo stile controllato e arciclassico, è uno dei più bei film di questi anni e uno dei migliori in assoluto mai fatti sullo sport, anche se incasellarlo in questa categoria è a dir poco riduttivo.



Lotta libera

Nella storia - vera - del rapporto tra due campioni di lotta libera, i fratelli Mark e Dave Schultz, e il miliardario John E. Du Pont, “Foxcatcher” iscrive infatti un’inquietante metafora politica e l’analisi di un torbido rapporto psicologico reso ancora più forte dal suo passare letteralmente attraverso il corpo dei protagonisti, campioni anche nel senso in cui si dice di una roccia che è il “campione” di un certo minerale - e naturalmente sarà il film a rivelare poco a poco di che pasta sono fatti, e quale destino li attende.



Manipolazione

Non siamo lontani da “The Master” di P. T. Anderson, altra storia di manipolazione, potere e follia. Ma se Anderson, trattandosi di Scientology, non poteva permettersi di essere troppo esplicito, Miller è più diretto, meno allusivo. E sfrutta a meraviglia l’immensa mole di materiali che quel celebre caso di cronaca, oggi dimenticato, gli ha messo a disposizione. Ricostruendo ambienti, comportamenti e perfino movenze con un’aderenza fisica che ne rivela l’essenza profonda.



Il cast

Impressionanti in particolare i tre protagonisti: i fratelli lottatori, Channing Tatum e Mark Ruffalo. E il miliardario paranoico Steve Carell, notissimo negli Usa come comico, irriconoscibile e formidabile nei panni di un personaggio non si sa se più triste o terrificante. È lui il cuore nero di questo film sapiente e spietato, lui, l’erede di una delle più antiche dinastie industriali d’America, il personaggio che trascinerà tutti in un gorgo senza uscita.



La forza e l'impero

Mark Schultz infatti, il campione, non aveva niente se non la sua forza e le sue medaglie. John E. Du Pont (E. sta per Éleuthère) invece aveva un impero ma non aveva la forza. Non sapeva ribellarsi alla madre, che disprezzava lui e le sue manie (Vanessa Redgrave, superba di indifferenza e arroganza). Non era in grado di diventare adulto. E ancor meno di farsi apprezzare per se stesso e non come erede di quella grande famiglia, attiva fin dall’Ottocento negli esplosivi e poi nella chimica («Avevo solo un amico da piccolo, e un giorno ho scoperto che mia madre lo pagava per parlare con me...»).



Patriota e ornitologo

Dunque un bel giorno questo miliardario inetto, megalomane, militarista, nonché «patriota, ornitologo, filantropo, filatelico», come ama definirsi, invita senza una ragione apparente lo spiantato Mark Schultz a raggiungerlo nella sua fastosa tenuta in Pennsylvania. Offrendogli sostegno materiale e morale, attrezzature di prima qualità, e un’intera squadra di lottatori con cui allenarsi per le imminenti Olimpiadi di Seul (1988).



Fratelli

Naturalmente tanta generosità nasconde qualcosa. Lo snervato Du Pont non vuole essere solo il suo sponsor. Grazie a Schultz, vuole brillare una volta tanto di luce propria. A qualsiasi costo. E intanto sottopone il campione a un regime schizoide. Allenamenti durissimi, ma anche lusso, cocaina e un cameratismo abbastanza morboso. Destinato a far breccia in quel campione fragile e solitario, senza altro al mondo che lo sport e il fratello Dave, pure lui lottatore e suo allenatore, quasi una figura paterna a cui il campione è legatissimo. Fino a quando Dave non raggiunge Mark e il suo strano protettore in quel buen retiro, portando con sé anche la sua famiglia...



Fine di un'era

Era difficile concentrare in tre soli protagonisti tutte le luci e le ombre di un’epoca al tramonto (l’era reaganiana, con le sue fanfare e le sue illusioni). Ma è proprio quanto fa Foxcatcher, sfruttando a fondo il contrasto fra questi mondi così lontani. Da una parte il fasto e i riti di casa Du Pont. Dall’altra la grazia e il fascino di questo sport così violento e insieme così intimo. Là il gelo dei rapporti tra il miliardario e sua madre. Qua la fragilità del giovane lottatore, il suo dipendere in tutto e per tutto da quel fratello maggiore, così realizzato e sicuro di sé.



Raramente un film avrà esplorato con più acutezza tutte le pieghe e i doppifondi di una relazione così complessa e malata, portandone a galla i significati più reconditi. Si capisce che Bennett Miller faccia un film ogni tre anni circa. Speriamo che resti fedele al suo metodo.





FOXCATCHER (drammatico, Usa, 134’)

di Bennett Miller, con Steve Carell, Channing Tatum, Mark Ruffalo, Vanessa Redgrave, Sienna Miller, Anthony Michael Hall