Beach Boys, il docufilm su Disney+: «Ancora buone vibrazioni contro il mondo in guerra»

Mike Love e Al Jardine raccontano il documentario

I Beach Boys
I Beach Boys
di Federico Vacalebre
Giovedì 9 Maggio 2024, 07:00
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Sulle storie del rock «Pet sounds» è considerato unanimamente uno dei dischi più importanti di tutti i tempi. «Time» e «New Musical Express» arrivarono a considerarlo il migliore, «Rolling Stone» il secondo, i Beatles lo usarono come ispirazione per «Sgt. Pepper’s lonely hearts club bands». Ma uscì il 16 maggio 1966, nello stesso giorno di «Blonde on blonde» e poco prima di «Revolver» e fu considerato più un disco solista di Brian Wilson che uno dei vecchi (si fa per dire) e cari Beach Boys. Fu un insuccesso commerciale e spinse nel baratro della depressione il genio Brian Wilson. È una dalle verità che più fanno riflettere nel docufilm «The Beach Boys», dal 24 maggio in streaming su Disney+, forte di filmati ed interviste inedite a Brian Wilson, Mike Love, Al Jardine, ma anche a David Marks e Bruce Johnston entrati successivamente nella band, e fan del gruppo come Lindsey Buckingham (Fleetwood Mac), Janelle Monáe, Ryan Tedder (OneRepublic) e Don Was.

Già, ma perché un documentario sui B.B. a 63 anni dalla loro fondazione? Via piattaforma provano a rispondere i registi, Frank Marshall e Thom Zimny, ricordando che tra «onde alte, ragazze in bikini e sole della California» i tre fratelli Wilson, il cugino Love e l’amico di famiglia Jardine «cambiarono la surf music: fino a quel momento era stata strumentale, con loro divenne anche vocale». «Surfin’» (1962) mise in mare il quintetto di Hawthorne, Los Angeles, lasciando che si andassero ad arenare su spiagge poco frequentate i Ventures e Dick Dale: un suono nuovo stava nascendo.

Anzi un mondo nuovo che, nello stesso collegamento on line, Al Jardine, classe 1961, voce solista in hit come «Help me» e «Rhonda», entrato ed uscito più volte dai B.B., di cui oggi ripropone il repertorio con l’Endless Summer Band, ricorda ma non rimpiange: «Nel docufilm si raccontano decadi magnifiche, bei tempi, grandi armonie, ma anche i nuovi fans». Gli dà man forte Mike Love, primo frontman e paroliere dell’ensemble, voce solista di «Surfin Usa» e «I get around»: «È la storia di una carriera, di una fenomenale opportunità, di una riunione comunque gioiosa: quando ci ritroviamo scompaiono le incomprensioni e ritroviamo le armonie, l’amore e il rispetto.

La nostra è una vicenda di armonie vocali e di positività, di buone vibrazioni per dirla con il titolo di una nostra canzone. Nel mondo oggi c’è troppa negatività, guerre, invasioni... tutte le cose contro cui manifestavamo già negli anni Sessanta. Il mio slogan è ancora quello: peace and love. Il flower power è l’unico potere possibile».

A 83 anni, la camicia hawaiana di ordinanza ed il berretto da baseball, Mike incarna davvero quel sogno che presto si complicò. Messaggeri dell’era dell’Acquario, i B.B. iniziarono con armonie vocali, capelli corti e facce pulite, ma in realtà più che in mare facevano surf nella psiche e in stagioni complesse. Si fecero crescere i capelli e le barbe e, soprattutto, inseguirono «una musica che avesse il suono del cielo». Brian Wilson, il genio, finì prigioniero della sua stessa mente, oggi è affetto da demenza e la sua famiglia ne ha chiesto la tutela. Suo fratello Dennis, il batterista, scomparso nel 1983, si lasciò stregare da Charlie Manson. Carl, il più piccolo della famiglia, per molti il miglior cantante, la voce del capolavoro «God only knows», obiettore di coscienza per non andare a combattere in Vietnam, è morto nel 1998. 

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Quando Brian lasciò il palco per chiudersi prima al pianoforte, e poi in studio di registrazione, i Ragazzi della Spiaggia divennero gli Uomini della Spiaggia, si liberarono dei fantasmi opprimenti di papà e mamma. Nel gruppo entrarono prima Glen Campbell e poi Brian Johnstons, ma, soprattutto, le eteree colorazioni tonali di «Pet sounds», capace di andare oltre il wall of sound di Phil Spector. Le voci della purezza angelica e l’apparente effetto chiesastico cantavano l’ultima innocenza possibile. Per qualcuno era troppo, dal quintetto si voleva solo effervescenza giovanile, per qualcuno era troppo poco, la società, e la musica, stavano cambiando ben più velocemente. La Capitol pretese di far uscire quel disco insieme a un’antologia di vecchi successi e poi addirittura bloccò la pubblicazione del successivo, leggendario, «Smile», inciso tra il 1966 e il 1967, ma arrivato nei negozi solo nel 2011. Brian ne parlò come di «una sinfonia adolescenziale diretta a Dio».

Il docufilm, in fondo, servirà soprattutto alle giovani generazioni: sarebbe ingiusto privarli di «Good vibrations» e di «Barbara Ann», di «Pet sounds» e di «Smile». 

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