Stasera, col suo spettacolo al Palapartenope, arriverà nella patria del caffè sospeso, idea che ha sfruttato al meglio: «Ho conosciuto questa vostra meravigliosa tradizione di solidarietà leggendo un libro di Luciano De Crescenzo... e non ho fatto altro che renderla digitale e contemporanea. Basta collegarsi al sito www.1caffè.org e versare un euro, che andrà a beneficio di enti e associazioni che non riescono a far conoscere a tutti le loro attività benefiche. Ogni settimana presentiamo una iniziativa diversa, che chiunque può sostenere».
Sono trascorsi oltre 20 anni dal «Grande fratello», che lo rivelò al pubblico nel 2003. Arrivò terzo. Entrò signor nessuno e uscì famoso (grazie alla bellezza e alla liaison con la concorrente Marianella Bargilli): potere di un reality dal titolo tuttora inquietante. Due anni dopo, entrò nel cast della fiction «Carabinieri». Potere del talento, stavolta. È uno dei pochi che ce l’ha fatta. Oggi Luca Argentero, torinese, 46 anni, è uomo e attore maturo.
Intanto, al Palapartenope, per l’unica tappa in Campania, soltanto stasera Luca porterà «È questa la vita che sognavo da bambino?», scritto con Edoardo Leo (che firma anche la regia) e Gianni Corsi, un one-man-show insolito, più «man» che «show», perché «condivido col pubblico tre storie italiane ed emblematiche su altrettanti personaggi extra-ordinari. In realtà, lo spettacolo è un modo per raccontarmi indirettamente. Scoprendo gli altri, svelo qualcosa in più di me e di come intenda io la vita». L’attore caro a registi come Placido, la Comencini e Marco Risi avrà con sé soltanto la musica come colonna sonora, un grande schermo per le immagini («soprattutto foto») e... tre amici: Luisin Malabrocca, Walter Bonatti, Alberto Tomba.
Perché proprio loro? «Il primo è il ciclista che inventò la maglia nera. Si rese conto che arrivare ultimi può essere redditizio quanto vincere. La sua storia è epica. Malabrocca seppe leggere il sistema e portarlo dalla propria parte. Lo usò invece di combatterlo». Con l’amore che ha per l’alpinismo, ecco Bonatti: «Con lui racconto la montagna, metafora della vita; ci si pone un obiettivo e si fa di tutto per raggiungerlo, qualunque sia... Non c’è ragione di scalare il K2 e arrivare a 8000 metri... eppure.... Si fatica per accorgersi che, in cima, non c’è nulla... o forse tutto. Insomma, lo si fa per se stessi». Infine, Tomba: «Un comunicatore, un vincente, che ha fermato Sanremo con le sue vittorie. Leggero nella vita, aggressivo in pista. Ho il suo poster a casa».
Si farà la quarta stagione di «Doc»? «So che c’è la volontà, a partire dalla mia». Che cosa le ha dato il dottor Andrea Fanti? «È un grande personaggio. Si attacca addosso a me e al pubblico, e non ci lascia più. Ha qualcosa di speciale. Gli ho dedicato anni, ma lo amerò per sempre. Grazie a lui ho affrontato temi gravi, la malattia, il dolore, la morte e la guarigione. Per un attore, Fanti è un importante investimento emotivo». Di lui che cosa le piace di più? «L’empatia che instaura con le persone. E ci assomigliamo: a me piace stare tra la gente».
Lei è considerato un sex symbol, come vive questa condizione? «Non la vivo. La percezione che ho di me stesso allo specchio è quella di chiunque. Sono gli altri a metterci del proprio, non io. I consensi che ricevo sono la conseguenza naturale del lavoro che faccio da 21 anni. I complimenti fanno piacere, sono carezze, ma non dipendono dal mio aspetto fisico». Se mette a confronto il Luca del «Grande fratello” con quello di oggi? «Vedo due persone diverse, un 25enne e un 46enne... Non rinnego nulla, ma mi volgo al futuro, è più interessante». E il domani che cosa dice? Ha dichiarato di volersi ritirare... «Non è un desiderio, ma una conseguenza delle cose. A una certa età si dà il meglio di sé. E i ruoli importanti tendono a diminuire. Spero di avere ancora fortuna ma, appena posso, fuggo in campagna, nella mia casa di Città della Pieve, per stare con Cristina, Nina, Noè... scrivere storie e stare a contatto con la terra. io amo la terra».