«Certo che lo conosco, lo conosco da quando eravamo ragazzini. Vede, i nostri genitori erano agricoltori, si viveva nella stessa strada, siamo nati e cresciuti nello stesso cortile, quando a Casal di Principe si viveva con le porte aperte. Parliamo di più di cinquant’anni fa». Eccolo l’imprenditore Nicola Schiavone, settanta anni, al primo banco dell’aula del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, quello - per intenderci - in cui si ipotizza la capacità della camorra casalese di infiltrarsi nei subappalti di Rfi. Imputato numero uno, accanto ai suoi difensori (l’avvocato Umberto del Basso de Caro e Giovanni Esposito Fariello) Nicola Schiavone si mostra sereno rispetto alla possibilità che in questo dibattimento vengano depositate le prime dichiarazioni dell’ex numero uno della mafia casalese. Spiega ai cronisti nell’aula di Tribunale: «Certo che non rinnego la mia amicizia con Francesco Schiavone, come potrei farlo? Eravamo amici, ma parliamo di decine di anni fa, siamo nati e cresciuti assieme, lo ricordo quando avevamo i grembiulini (dice a proposito delle scuole elementari frequentate a metà del secolo scorso), come potrei rinnegare quell’antica amicizia?».
Il dialogo
Ma cosa ne pensa della svolta collaborativa di Sandokan? «Fa bene a collaborare, siccome è sempre stato evocato, anche in questo processo, fa bene a dire la verità e a mettere insieme tutto ciò che è in suo possesso».
Passano i minuti tra una fase e l’altra dell’udienza che si celebra al cospetto della terza penale sammaritana, quando Nicola Schiavone torna indietro agli anni Novanta: «Sono stato assolto dal processo Spartacus (il fratello Vincenzo è stato condannato a due anni ma non per fatti aggravati dalla finalità mafiosa), la verità è questa. In quel periodo ero altrove, ho lavorato in America per conto dell’Onu, in passato sono stato insegnante a Genova, per poi intraprendere la carriera di manager con società che lavorano anche nel campo ferroviario». Poi l’imputato aggiunge: «In questo processo, sia il Riesame che la Cassazione hanno annullato la misura cautelare emessa dal gio».
Il lievito madre
Ma c’è anche un altro passaggio rispetto al quale non si sottrae alle domande dei cronisti, quello di essere stato per anni il “lievito madre” dell’impero di Sandokan, l’uomo che avrebbe fatto fruttare i capitali sporchi di Francesco Sandokan Schiavone, come prestanome occulto dei capitali mafiosi, come ha avuto modo di dire Giuseppina Nappa (moglie dell’ex boss) in una ormai celebre intercettazione. Sorride il manager e ripensa a tanti anni fa: «Io il lievito madre? Pensi che quella espressione è mia, l’ho usata io nel corso del mio interrogatorio durante il processo Spartacus. Personalmente manco da Casale da 40 anni».
La ricostruzione
Inchiesta condotta dal pm Graziella Arlomede, nel corso delle indagini condotte assieme al collega Antonello Ardituro (oggi alla Procura nazionale antimafia), in aula sfilano i testimoni dell’accusa. A rispondere alle domande del pm ci sono due commercialisti napoletani, che hanno lavorato come consulenti della Procura e due carabinieri. Riflettori puntati sulla trama di società che negli anni scorsi hanno macinato commesse all’ombra del restauro e della manutenzione di alcune tratte ferroviarie.