Thuram, il calcio e il razzismo:
«Ancelotti ha squarciato i silenzi»

Thuram, il calcio e il razzismo: «Ancelotti ha squarciato i silenzi»
di Francesco De Luca
Sabato 1 Dicembre 2018, 08:00
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Lilian Thuram non ha smesso di correre e lottare come ha fatto in campo per 28 anni, dal primo campionato con il Monaco all'ultimo con il Barcellona, vincendo Europeo e Mondiale con la Francia. Corre per il mondo perché lotta contro il razzismo, il primo avversario di quest'uomo nato in Guadalupe, un nemico ostinatamente sfidato ma non ancora battuto. Il periodo più lungo della sua carriera - dal 1996 al 2006 - lo ha vissuto in Italia, indossando le maglie di Parma e Juve. Il suo primo allenatore è stato Ancelotti, che ha recentemente aperto il fronte contro i vergognosi cori da stadio, che tormentano da anni giocatori e tifosi del Napoli. Anzi, un'intera città.

«Sospendere le partite in caso di insulti»: cosa pensa della proposta di Ancelotti?
«Una premessa. È importante che ci sia una persona che dica che tutto questo non si può fare perché il vero problema è rappresentato da allenatori e giocatori che non dicono niente per paura di mettersi contro quei tifosi. Loro guardano e fanno finta di non vedere, manca la volontà di denunciare. Con un intervento come quello di Ancelotti si prende la direzione giusta».

Interrompere una partita, come gli arbitri sono stati sollecitati a fare dalla Federcalcio italiana, è un'azione utile?
«Se si interrompe una partita per cori razzisti o per insulti, il calcio si ferma a riflettere. Questo è un mondo professionistico basato sul business, dunque si può aprire una riflessione se c'è un intervento così forte contro un male che non è soltanto di questo settore ma della società. Il calcio provi a risolvere questa situazione: non la legittimi con il silenzio».

Come e dove nasce questa vergogna, questa persecuzione nei confronti di atleti neri ed ebrei o di una squadra meridionale?
«È una questione culturale. Chi non è oggetto di atti di razzismo non si rende conto che questa è violenza pura ed ecco perché non dà peso a certi episodi. C'è una differenza tra il razzismo per le origini e per il colore della pelle. Nei confronti dei meridionali che si trasferivano al nord per lavoro vi era un profondo ostracismo negli anni 50 e 60: si arrivava a negare l'ingresso in un locale. Fuori dagli stadi, la società non fa differenza tra italiani e napoletani mentre ancora oggi c'è chi invece rifiuta la legittimità, lo status di italiano, a chi è nero. Io ho giocato tanti anni con Fabio Cannavaro, lo considero mio fratello. Quando ascoltavo i cori che facevano contro di lui negli stadi perché era napoletano, gli dicevo che non era giusto e che non si poteva far finta di niente di fronte a coloro che si sentivano superiori ad altri e ovviamente non lo erano».
 
Ancelotti è stato il suo primo allenatore a Parma ventidue anni fa.
«Una persona che mi è piaciuta dal primo momento. Grandissimo come calciatore, aveva da allenatore un atteggiamento intelligente e umile verso i giocatori. È stata una fortuna trovarlo sulla mia strada perché mi ha fatto crescere come calciatore e come persona. Ero abbastanza giovane quando sono arrivato a Parma, 24 anni, e Ancelotti mi ha cambiato la vita. Ci sono allenatori che pensano di vincere da soli le partite: Carlo no, Carlo sa che vince la squadra, cioè l'allenatore e i giocatori. Non è un caso che chi è stato un suo calciatore parli bene di lui. Ci sono tecnici che mettono sul tavolo tutto quello che hanno vinto, ne parlano sempre. Lui no, eppure ha vinto più di tutti».

Alla prima esperienza professionale al sud, Ancelotti si è talmente calato bene nel suo nuovo ambiente da arrivare a dichiarare dopo l'ultima partita di Champions: «Sono napoletano dentro».
«Ma non è un uomo del nord che si è ambientato al sud: è un uomo, è una persona di grande sensibilità. Una persona sensibile, vera, non deve essere un meridionale per capire che il meridionale non si insulta o un nero per capire che il nero non va offeso. O essere una donna per rendersi conto che non si deve fare violenza sulle donne».

Lei ha conosciuto a Parigi, prima della partita col Psg, Koulibaly, che vede in Thuram un punto di riferimento calcistico e anche morale per le sue battaglie.
«È una fortuna per il Napoli avere un ragazzo come lui. Un grande difensore, una persona aperta che vuole il bene del prossimo».

Su Kalidou i razzisti delle curve italiane scaricano spesso insulti: che consiglio gli dà?
«Sicuramente non deve fare finta di niente perché chi fa quei cori deve capire cosa fa. Lui, in campo, sicuramente comprende chi ha di fronte. C'è una domanda ricorrente per me: perché la società accetta tutto questo? Questa è l'immagine dei tempi che vive un paese, si tratti dell'Italia, o della Francia, o dell'Inghilterra. Ciò dà la misura della civiltà del tuo ambiente, che sia un popolo o una famiglia».

In un'intervista di tre mesi fa ha detto di Salvini, vicepremier e ministro dell'Interno: «Se fossi italiano mi vergognerei di lui, mi fa paura questa ascesa dell'estrema destra». Ritiene che il razzismo sia un problema culturale ma anche politico?
«Mi sono chiesto: a quale punto può arrivare un paese? Non è soltanto un problema di colore della pelle e di origine. Io mi vergogno anche di un paese - può essere il mio o un altro - dove le donne vengono uccise dai mariti o le persone vivono tra i sacchi della spazzatura. Mi vergogno di vivere in una terra dove ci sono esseri umani che ne maltrattano altri, ma anche di vedere una balena morta su una spiaggia con la pancia piena di buste di plastica. Ma in quale mondo siamo? Nell'atteggiamento ostile verso chi arriva da altri paesi c'è qualcosa che dovrebbe far riflettere anzitutto chi governa».

Si spieghi.
«La violenza non è soltanto fisica, è anche quella di un governo che non vuole chi viene ritenuto inferiore. Il risultato è che si porta comunque violenza tra la gente, nel proprio territorio. Questa violenza rischia di diventare naturale ed è una trappola che gli uomini non vedono. Se respingi chi chiede aiuto, se lo lasci morire, pensi che il tuo paese salverà poi chi è in difficoltà? Soltanto se sei educato a comprendere i problemi degli altri potrai comprendere i tuoi. Bisogna aprire gli occhi perché è tutto collegato. È la grandi crisi economica che viviamo a far sì che la storia dei migranti sia sullo stesso piano di quella dei francesi, degli italiani, degli inglesi che faticano ad arrivare alla fine del mese. Ecco perché non ci si deve voltare dall'altra parte».

A un campione che ha vinto tutto nella sua carriera bisogna chiedere un parere su come andrà a finire il girone di Champions League. Passerà il Napoli?
«Io sono francese e in corsa c'è il Paris St. Germain, ma a Napoli sono molto legato perché quella è la città di Cannavaro, mio fratello Fabio. Difficile prevedere cosa possa accadere a Liverpool e Belgrado. A Parigi sono rimasto colpito dal gioco e dall'intensità del Napoli: è molto forte, però gioca la partita decisiva sul campo della finalista dell'ultima Champions. Ad Ancelotti può bastare il pareggio: spero ce la faccia».
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